Corre come Diego Armando, Juancito. A spalle alte e un po’ ingobbite, la palla incollata al sinistro ai cento allora. Il suo fisico è un formidabile equivoco: minuto eppure forte. Il suo calcio è un ossimoro: possente nella corsa, lieve nel tocco. “Iturbe è un incrocio tra Messi e Maradona, con le dovute proporzioni”, l’endorsement di Pierino Fanna lo scorso ottobre. “Ma chi è quello lì? Questo è forte davvero” rivelava l’attaccante del Bologna Moscardelli ad amici veronesi la sera stessa della rumba presa contro il Verona al Dall’Ara, con Juancito che quel pomeriggio aveva danzato disinvolto come un condor spietato tra le macerie dei rossoblù di Pioli.
Erano vagiti di mesi fa. Ora la Iturbe mania impazza davvero. Juancito pare aver stregato tutti. Top club inglesi e spagnoli in particolare, che il portafoglio ce l’hanno gonfio sul serio. “Nessuna squadra italiana può permetterselo”, ha sentenziato l’altro giorno Setti, che sa di avere tra le mani un gioiello. Chissà se la chiosa del presidente è più tattica (per alzare il prezzo) o reale, sta di fatto che il Verona nella sua storia non ha mai avuto un patrimonio del genere. Ok Jorginho e dodici anni fa Mutu, ma i 30 milioni di euro che ballano per il fantasista argentino (di passaporto, perché l’indole è tutta paraguaiana) sono una quotazione inedita per un giocatore del Verona. Certo, solo parte di quei soldi finiranno nelle casse di Via Belgio, ma la domanda qui è un’altra: Iturbe è il giocatore più forte che abbia mai indossato la casacca gialloblù, come qualcuno ha sussurrato?
No, o almeno non ancora. Elkjaer, in assoluto, per ora è inarrivabile. E non lo dico perché Preben è sempre stato il mio idolo, o perché ha vinto lo scudetto. Parla il curriculum di “Cavallo Pazzo”, anche fuori dall’Hellas: secondo al Pallone d’oro nel 1985 dietro a Platini; terzo nel 1984 preceduto dal duo francese fresco campione d’Europa Platini-Tigana; terzo miglior giocatore del mondiale messicano del 1986 alle spalle di Maradona e del portiere tedesco Harald Schumacher. E senza nulla togliere al calcio “scientifico” di adesso, quelli erano anni da leggenda, nei quali – per usare una metafora automobilistica – il pilota (il calciatore) contava più della macchina (il collettivo).
Eppure Iturbe è ormai un calciatore di livello mondiale, che dal punto di vista tecnico (non romantico, dove ognuno è giusto che abbia e si tenga i suoi idoli) può già essere collocato dietro a Elkjaer e davanti ad altri miti gialloblù come Dirceu, Zigoni, Fanna, Briegel…
Ce lo ricorderemo Juancito. Un giorno lo racconteremo. Penseremo a quell’indio terribile che prendeva palla a centrocampo e andava a segnare, come nei cartoon giapponesi, come sognavamo noi da piccoli fantasticando nei pomeriggi invernali con“Holly e Benji” all’ora della merenda.
Macina tutto in fretta questo calcio, anche i ricordi. Poi arrivano quelli come Iturbe, che sospendono il tempo e ti preparano alla nostalgia.
P.S. Avevo lanciato la discussione su fb, grazie a chi è intervenuto per il contributo. (https://www.facebook.com/pages/Francesco-Barana/1421212388102512)
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