“Col Napoli non è una partita come un’altra e sarebbe servito un altro atteggiamento, al di là di classifica, punti e di fine o non fine stagione”. Ieri sera al Vighini Show ho esordito così. Il calcio non è solo matematica, marketing o business, ma soprattutto senso evocativo e identitario (suggestioni di cui peraltro si nutre lo stesso marketing) e ci sono partite che hanno una loro narrazione e il cui significato prescinde da tutto il resto.
Checché ne dicano i buonisti d’accatto, i quali blaterano di modello inglese (brividi sulla schiena, Oltremanica hanno nascosto la polvere sotto il tappetto ed eliminato la cosiddetta working class dagli stadi), di “stadi-teatro”, di curve plastificate stile commodore 64 e altre mostruosità simili, il calcio è senso di appartenenza, fazione, rivalità. Popolare e interclassista per definizione, esso è permeato di contrapposizioni del tutto naturali: odio (sportivo s’intende) contro amore, amico contro nemico ecc.
Come già accaduto altre volte (all’andata col Chievo, o lo stesso Napoli e con l’Inter al Bentegodi) in questa bellissima stagione, il Verona ha prestato il fianco a un rilassamento psicologico che, riverberatosi in campo, si è tuttavia alimentato di vigilie troppo morbide e mielose. Ricordate il pareggio impresa con la Juventus? O la vittoria contro il Milan di Balotelli? O il derby di ritorno? Ma anche le sconfitte combattute con le stesse Juve e Milan a casa loro? Quelle domeniche (o quei sabati) ci siamo emozionati non per questioni di classifica, ma per la storia intrisa di rivalsa e rivalità che quelle partite ci suggerivano, per le suggestioni che evocavano. Per le stesse ragioni la sconfitta di domenica sera e le altre succitate ci hanno lasciato un filo di amarezza.
E’ un po’ il discorso dei “40 punti”. Nessuno pretendeva l’Europa, ma solo di sognarla e inseguirla, e non per fregole tecniche o improvvise ambizioni (che lasciamo volentieri a quei club e a quei tifosi che pensano che il senso del calcio sia solo primeggiare), ma per uno slancio romantico, per costruirci il nostro romanzo. L’immaginario di noi tifosi si nutre di sfide: scudetto e gloriosi anni ’80 a parte, ci ricordiamo più dei mediocri anni di Mutti (non me ne voglia il buon Lino), o degli spareggi di Terni, Reggio Calabria, Busto Arsizio, Salerno?
La società, Mandorlini e i ragazzi ci hanno provato a inseguire il sogno (chi non ci crede vada a rivedersi le facce di Setti, Sogliano e del mister all’Olimpico dopo il “furto” di Mazzoleni), tuttavia la sensazione è che abbiano cominciato a farlo troppo tardi. Grida vendetta quel mese di marzo post “40 punti”, quelle 4-5 partite un po’ così…
La speranza è che il prossimo anno, comunque vada (che ci si ripeta, che si navighi a metà classifica, o che si lotti per la salvezza non importa), si tenga sempre tirato il filo della tensione. Perché vestire gialloblu va oltre a punti, classifiche e obiettivi. Vestire gialloblu va oltre a questo calcio moderno sparagnino e calcolatore.
Detto questo, che scrivo in ottica positivista come sprone per il futuro, dobbiamo fare i complimenti a società, allenatore e squadra. Sento in giro: “Stagione irripetibile”. E chi l’ha detto?
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