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E SE IL MODELLO FOSSE L’ATHLETIC BILBAO?

“Non c’è mondo per me al di là delle mura di Verona: c’è solo purgatorio, c’è tortura, lo stesso inferno. Bandito da qui è come se fossi bandito dal mondo; e l’esilio dal mondo vuol dire morte”. Lo disse Romeo, lo scrisse Shakespeare. Manifesto identitario, vessillo della veronesità.

Mi direte: che c’entra un gigante come Shakespeare con un piccolo blog di calcio? Rispondo: cosa c’è di più identitario del calcio? Vorrei lanciarvi una provocazione: perché Setti, che ha detto di ispirarsi al Borussia Dortmund, nella creazione del suo modello calcistico non ci mette anche una spruzzatina di Athletic Kluba, alias Athletic Bilbao? Lo ammetto, sarebbe una scelta rivoluzionaria e in controtendenza in questa melassa insipida che è il calcio del duemila; ma vuoi mettere il fascino?

Oddio, mi rendo conto che non si può in un nanosecondo – e soprattutto in questo calcio – emulare 116 anni di storia del club basco, che è un modello a sé difficilmente esportabile. Per esserne consapevoli basterebbe farsi un giro da quelle parti, giusto per capire il carattere di quel popolo e i sentimenti di quella terra, vera e propria piccola patria.

Scimmiottare dunque sarebbe stupido, ma qua e là qualcosina si può “rubare”. Ad esempio, mi piacerebbe vedere qualche italiano in più nella mia squadra, pur non essendo di principio contro gli stranieri e capendo qualcosina di libero mercato e quindi delle ragioni (soprattutto economiche) che portano le società a tesserarne in quantità industriale. Ma è il modello del settore giovanile della società basca, in particolare, a ispirarmi. L’Athletic Club in passato tesserava solo calciatori originari dell’Euskal Herria, adesso ha “aperto” anche a quelli non indigeni purché cresciuti nel suo vivaio. Il caso di Fernando Llorente è solo il più emblematico, ma non l’unico. Nato navarro nella Pamplona cara a Hemingway, infanzia nella Rjoia, l’attaccante ora della Juventus è però cresciuto a Bilbao dove si trasferì a soli dieci anni per formarsi nella cantera rojiblanca. Il caso Llorente peraltro dimostra che anche con “l’autarchia” si possono fare le plusvalenze care a qualsiasi presidente di calcio e imprescindibili per una società di media fascia come il Verona. A questo proposito Setti ha in testa da tempo un centro sportivo per le giovanili: sarebbe una svolta decisiva nell’ottica di costruirsi calciatori in casa, che abbiano il giusto mix di senso di appartenenza e fame di imporsi alla ribalta.

Ma più in generale, assodato che per i tifosi l’essenza del Verona Hellas è la sua identità, i suoi colori e la sua storia di unica vera squadra della città (per questo, ripeto, gli addetti ai lavori e i mass media quando si rivolgono all’esterno dovrebbero sforzarsi di chiamarlo Verona prima ancora che Hellas), su quale strategia deve puntare invece la società? Sull’omologazione, consentitemi la parola, quindi l’internazionalizzazione del brand, perché per campare con dignità in questo calcio non ci sono altre vie e dunque essa è l’unica scelta responsabile? O sulla propria specificità, riuscendo nell’impresa di imporlo, il brand, all’esterno, attraverso la creazione di una propria via che possa caratterizzare nella sua singolarità il “modello Setti”? Personalmente sceglierei la seconda strada. E’ possibile?

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