La solita storia. Di un Verona (troppo) spesso indolente, pigro, frivolo, prevedibile e lento. Era successo nel derby, ma lì ci era stato raccontato che era solo colpa dell’arbitro. Era accaduto a Napoli e allo Juventus Stadium, ma ci era stato detto che non sono quelle le partite da vincere (forse sono da perdere con tanto di goleade?). In effetti poi si era vinto con l’Atalanta e i cacciatori di alibi quando di perde e di (propria) vanagloria quando si vince ci avevano insegnato che “le nostre partite sono queste” (le altre non le giochiamo?). Salvo poi perdere con Palermo e Torino e sentirci raccontare che la colpa, è chiaro come l’oro, è di Rafa Marquez e – sì dai diciamocelo che non vedevamo l’ora – di Saviola, così da nascondere abilmente alcune ‘chicche’. A Palermo la rinuncia totale al gioco dopo il pari di Dybala (e se stai rintanato nei tuoi 25 metri le probabilità di errore individuale crescono). Ieri la lentezza del giro palla nella prima mezz’ora e la scelta (con Pisano e Agostini terzini di contenimento) di rinunciare agli sbocchi sulle fasce e di affidarsi al solito lancio per Toni. Un dato poi deve far riflettere: questo Rafa Marquez è inguardabile, ma nell’ultimo anno e mezzo sono stati impiegati sette difensori centrali diversi (Moras, Maietta, Marques, Gonzalez, Marquez, e nella difesa a tre Rodriguez e Sorensen), eppure abbiamo subìto 105 gol Coppa Italia esclusa. Tutti scarsi i nostri? Le concorrenti per caso dispongono di Baresi, Nesta e Thuram? Una critica anche al lavoro sulla fase difensiva è improponibile? Denunciare gli errori individuali è giusto, attaccarsi solo a quelli è una scorciatoia fuorviante.
La solita storia. Di un Verona che le qualità le ha e che però le mostra solo nella disperazione (a Udine, con l’Atalanta e ieri dopo il 2-1 di Toni), il resto del tempo invece lo passa nella stagnazione degli aggettivi di poco fa (indolente, pigro ecc). Non so dirvi se questo mi preoccupa o mi solleva. Mi preoccupa perché la storia è ricca di buone squadre retrocesse per presuntuosa noncuranza (“tanto poi quando serve vinciamo”), ne sappiamo qualcosa anche qui a Verona. E alcune dichiarazioni post partita di ieri mi hanno lasciato perplesso, quasi che il campanello d’allarme nello spogliatoio non sia ancora scattato. Benussi: “Ripartiamo dalla prestazione” (quale, di grazia?). Greco: “Non si è vista tutta questa differenza con il Torino, ci hanno punito gli episodi” (sì e il colpevole è sempre il maggiordomo e le mezze stagioni non esistono più). Mandorlini: “Pensavo di pareggiarla fino alla fine” (ok la reazione, ma prima?). Mi solleva perché con l’acqua alla gola il Verona non ha mai sbagliato e come ha ricordato Vitacchio forse è la paura la vera miccia che accende, aggiungo io, l’arido cuore di questo gruppo e il suo allenatore dal carattere incostante e capace di dare il meglio solo se sotto pressione.
In buona sostanza, se il Verona gioca come è nelle sue possibilità può fare punti a Marassi e a San Siro e sbancare Cagliari, resistendo così con almeno cinque punti al plotone di fuoco delle prossime sei partite. Ma serve un altro atteggiamento, in campo e anche nelle parole, perché sono i pensieri a fare le azioni. E qui torniamo ai cacciatori d’alibi nelle sconfitte e di (propria) vanagloria nelle vittorie. E’ un giochetto che ha stancato e che mette sempre in secondo piano il Verona, che invece è il bene supremo e viene prima di qualsiasi personalismo.
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