Premessa: in serie A le parole sono importanti, non solo quelle dentro lo spogliatoio, ma anche quelle rivolte alla stampa, utilizzata dagli addetti ai lavori per parlare ai tifosi. Setti al ‘Vighini Show’ lo scorso maggio, poi in estate, scolpì le sue parole nella pietra: “L’obiettivo è confermare o migliorare l’ultimo campionato, lo garantisco”. Bigon il 2 settembre ribadì: “Abbiamo costruito un organico clamorosamente competitivo per centrare l’obiettivo della salvezza”. Ieri Eros Pisano è ritornato sul medesimo concetto: “L’obiettivo è quello di una salvezza tranquilla”. Tradotto: metà classifica, o comunque ben lontani dalla mischia di quelle 5-6 squadre in affanno. Come è sempre stato dal ritorno in A.
Dopo sette partite credo si possa dire che potrebbe non essere così, anzi: il Verona è nelle ‘sabbie mobili’ e forse dovrà lottare sino all’ultimo per uscirne, nonostante un mercato molto pubblicizzato e non certo sparagnino. L’unico vero e sacrosanto alibi che concedo sono gli infortuni a stretto giro di posta di Toni e Pazzini, ma come scrive Vighini in determinate circostanze sono mancate le prestazioni anche quando quell’alibi non reggeva. Credo siano state fatte delle valutazioni errate sul mercato, come ho avuto modo di spiegare in articoli recenti, ma anche in tempi non sospetti. Lo dico non per fare polemica, ma per capire, perché non ci può essere crescita senza consapevolezza: dal centrocampo trascurato, nonostante Ionita e Romulo fossero reduci da infortuni e non dessero piene garanzie già in precampionato (salvo poi ripiegare sullo svincolato Matuzalem a mercato finito); a riscatti non certo a costo zero (Bianchetti) forse avventati. Inoltre, come ha rimarcato sempre Bigon, quella della rosa ristretta (più i giovani) è stata una precisa scelta, se è vero che da regolamento un paio di tasselli erano ancora disponibili.
Ora molti, anche gli insospettabili, tirano in ballo Mandorlini. Lo ripeto: lui è sempre lo stesso, il suo calcio anche (al di là dei moduli). Ma ora il suo calcio è orfano di Toni – e di Iturbe e Romulo, e di Cacia e Martinho in B, ma anche di riserve bistrattate che l’anno scorso solo di gol ci hanno dato una decina di punti (ed escludo l’infortunato Ionita dall’elenco, sennò saremmo a 16). Non è una differenza da poco. Ci sono allenatori che con la tattica e il lavoro ‘di campo’ fanno la differenza; altri che basano le loro fortune sulla qualità dei singoli e l’efficace gestione del gruppo. Mandorlini appartiene alla seconda categoria: l’ho scritto, detto e pensato quando vinceva, lo scrivo, dico e penso ora che la classifica piange. E non è una diminutio affermarlo, o una critica, ma una constatazione, che forse può a sua volta spiegare il momento.
Ora sia benedetta la sosta. Pazzini è sulla via del recupero e gli acciaccati possono ritrovare la condizione. Speriamo di recuperare anche quell’abnegazione per “portare a casa il pane” (autocit.) che sinora spesso è mancata, tra barriere che si aprono, palloni persi banalmente in zone nevralgiche, rimonte subite, palloni in tribuna non pervenuti (e che ci vorrebbero). Il Verona affronterà l’Udinese in casa, avversario alla portata, Mandorlini Colantuono, un suo “gemello” per temperamento e modo di fare calcio. Serve solo vincere, spero se ne stiano accorgendo anche i cantori delle sconfitte, o gli esegeti dei pareggi, o i lacrimanti degli infortuni. Nel frattempo personalmente gradirei che la società approfittasse della pausa per dare un messaggio ben lontano da quel siamo “clamorosamente competitivi per la salvezza” di bigoniana memoria e lo stesso Setti abbassasse il tiro rispetto ai suoi (legittimi) auspici estivi. Sarebbe un intelligente passo indietro, un’apprezzabile lezione di umiltà. Una nuova consapevolezza. Un punto da cui ricominciare.
Lascia un commento