“Questa squadra avrà mille difetti, ma ha un grande cuore”. La frase di Delneri dopo il derby è sintomatica: il Verona viaggia oltre i suoi limiti tecnici e di organico, in una disperata e romantica rincorsa ed è questo che entusiasma il popolo gialloblu.
Dieci i punti nelle sette partite del girone di ritorno, da quando cioè l’impronta (tattica e atletica) di Delneri e staff ha cominciato fisiologicamente a mostrarsi. L’allenatore ha lavorato anche sui singoli: ha consacrato quello che da molti mesi ritengo pubblicamente il centrocampista più completo del Verona (Ionita), ridato fiato e fiducia a Pazzini in coppia con Toni, migliorato Helander e Wszolek, oggetti misteriosi nella gestione precedente.
Il mercato di gennaio ha poi consegnato, con “appena” 6 mesi di ritardo e di mezzo l’ingaggio del fragile (fisicamente) Viviani e dell’inutile Matuzalem, al Verona un regista. Marrone è determinante e a Roma Greco ce lo ha ricordato (senza colpe, essendo l’ex romanista diventato un centrocampista centrale per mancanza di alternative e non certo per vocazione).
Ecco, credo che l’allontanamento tardivo di un allenatore e il mercato estivo deficitario siano due peccati mortali per qualsiasi dirigente di calcio. Ne ho già parlato, ma lo ribadisco, perché il tema è di stretta attualità se è vero che per il post Gardini (dirigente che non rimpiangeremo) si parla di conferma e ampliamento di poteri per Bigon. Che sia il caso Setti?
Nel frattempo culliamo il sogno che Delneri ci ha regalato. L’impresa resta improba: 12 partite, 3 proibitive (Napoli, Fiorentina, Juventus) e 1 difficile (Milan), le altre 8 invece alla portata. Tra queste tre scontri diretti in casa (Sampdoria, Carpi e Frosinone), ma prima va sbancato il Friuli e risucchiata nella lotta l’Udinese. Non vedo alternative.
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