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ACCONTI, STIPENDI E FUTURO

Per fortuna è finita. La stagione degli orrori ha sfiancato un po’ tutti e ora non rimane che un senso di vuoto, di stanco avvilimento e di mortificante spossatezza per la carrellata di omissioni, incoerenze, tracotanze, svarioni che da luglio in avanti hanno fatto a pugni con la logica, la verità e soprattutto l’amore per il Verona e il bene dello stesso. Per fortuna è finita e quello che serve ora è soprattutto aprire la finestra e respirare aria fresca, ché quella che c’è è viziata, viziatissima.

Innanzitutto: come sta la società a livello economico? Se fosse vera la notizia che Setti ha chiesto (e ottenuto) 10 milioni di anticipo del “paracadute” e se trovasse riscontro l’indiscrezione degli stipendi non pagati da gennaio in poi, qualche domanda sull’oculatezza della gestione finanziaria gardiniana sarebbe lecita, dati i copiosi ricavi entrati nella casse gialloblu in questi anni tra diritti tv, abbonamenti, sponsor e plusvalenze. E’ anche vero che potrebbe rientrare nel gioco delle parti di un presidente chiedere un acconto di liquidità, sebbene ciò confermerebbe che il popolo del Verona non è solo il polmone morale e identitario del club, ma anche – in senso lato – un “azionista”, perché con i soldi degli abbonamenti allo stadio e alla tv e grazie alla visibilità che garantisce agli sponsor contribuisce per gran parte al suo fatturato. Ancora più seria sarebbe l’indiscrezione sugli stipendi. E’ vera o falsa, Setti? E’ chiaro che dai soldi dipendono le ambizioni: l’obiettivo dunque è risalire in serie A immediatamente, o si percorrerà la via di un piano biennale? (il paracadute post Palermo lo permette).

C’è poi la sfera dirigenziale. Come è possibile, mi domando, ripartire con lo stesso direttore sportivo corresponsabile dello sfacelo? Com’è possibile riconfermare staff e collaboratori ancora operativi che erano in quota del vecchio dg Gardini? E’ opportuno affidarsi ancora al procuratore-consigliere Tullio Tinti? A sentire Setti, per cui le uniche colpe ricadono su Mandorlini e per cui Bigon val bene un’inopinata riconferma, sembrerebbe di sì. Sia chiaro, mister 6 punti in 14 partite, quello dello slogan vincente a Radio24 “dovevamo retrocedere assieme”, ci ha messo molto del suo, e Bigon il meglio lo ha dato con Souprayen e i cavalli di ritorno Bianchetti e Albertazzi. Tuttavia non mi piacciono i facili capri espiatori e per gli errori determinanti bisogna guardare lassù, ai piani alti.

Tinti pare esercitare ancora un ascendente su Setti, se è vero che Toni presumibilmente sarà vicepresidente e De Zerbi e Inzaghi corrono, con altri, per la panchina. Non sono talebano e mi rendo conto che tutto il mondo del calcio è costellato da relazioni, amicizie e financo conflitti d’interesse piccoli e grandi, dunque il problema forse non è nemmeno Tinti in sé, ma i consigli che eventualmente Tinti dà: se questo o quel giocatore è forte o scarso, in forma o bollito, se questo o quell’allenatore è valido o sopravvalutato. Seguendo questo schema dico che un Tinti che “disegna” Toni alla vicepresidenza, raccordo tra squadra e società e garante di una seria programmazione, con De Zerbi in panchina non mi dispiacerebbe; un tandem del genere, tra un uomo di carisma come l’ex bomber e un allenatore bravo ed emergente, potrebbe anche funzionare (ma la prima scelta deve rimanere uno come Iachini, o anche uno Stellone, altro profilo di prima fascia). Un altro paio di maniche sarebbe il Tinti che ripropone il “metodo Pazzini”, quinquennale a un suo giocatore in parabola discendente.  

Infine Setti deve ripulire il club da conflitti e gelosie. Sarebbe un atto rivoluzionario dopo due anni di lotte intestine (dalla “guerra” di Gardini a Sogliano, con Mandorlini spettatore interessato; al duello Toni-Delneri) che hanno visto abdicare solo il Verona. Che resta, ricordo, la chiesa al centro del villaggio. 

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