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SETTI, FUSCO E PECCHIA: QUESTIONE DI…MARCE

Come un novello Arthur “Fonzie” Fonzarelli non lo ammetterà mai, nemmeno sotto tortura. Setti difficilmente dirà: “Ho sbagliato”. Ma se a Fonzie bastava mostrare la faccia contrita e balbettare il perdono davanti a Marion Cunningham (l’unica privilegiata di cotanta umiltà), per Setti i fatti valgono da soli un’autocritica compiuta. In meno di otto mesi gli attori protagonisti dell’ultimo “teatro degli orrori” – Mandorlini, Gardini e Bigon – se ne sono andati, i procuratori sono tornati a fare i semplici intermediari e non gli invadenti consiglieri, e anche in sede  e negli uffici qualcosa si è mosso.

E’ un nuovo Verona: bello, brutto, vincente o scalcagnato lo dirà il campo, ma le prime impressioni sono positive. Fusco mi è piaciuto: umile, schietto e disponibile, una rivoluzione rispetto al recente passato. Basta per essere un bravo ds? No ovviamente, il calcio e la vita sono costellati da stronzi geni e umili idioti, ma in Fusco c’è anche del metodo e una finezza tecnica non trascurabile. Fusco è amico personale di Bigon, eppure come ds è più un Sogliano. Dirigente da campo e non da ufficio, che – deciso il budget dal presidente – vuole “carta bianca” nell’operare; che al nome preferisce l’equilibrio di squadra (con la permanenza di Pazzini ha preso il giovane Ganz e non l’esperto Cacia), che prima di ingaggiare il calciatore titolare – quello per intenderci che ti deve fare la differenza – se lo porta a spasso e pure a pranzo, ci parla e lo guarda negli occhi, sulla falsariga di Sogliano con Toni tre estati fa. Sembra tutto normale, ma non lo è in un mondo di dvd, chiavette usb e procuratori da soddisfare, dove capita pure di acquistare un giocatore di fama senza sincerarsi davvero delle sue condizioni fisiche e morali. Basta, almeno questo, per essere un bravo ds? Non ancora, perché oltre a disponibilità umana e metodo lavorativo dobbiamo appurare se Fusco gode della terza componente determinante: il fiuto.

Su Pecchia, per esempio: crac, o bidone? E’ la domanda dell’estate, sulla bocca di tutti. Anche qui buone impressioni si accompagnano a normalissime perplessità. Pecchia è colto, poliglotta, empatico, sorridente, cortese, tutte cose a cui non eravamo abituati da tempo, e ha metodologia (esempio la famosa intensità di cui ha scritto Vighini, non granché in voga con Mandorlini), ma ha tutto da dimostrare nella gestione del gruppo (qualità in cui invece Mandorlini, pur con metodi discutibili, eccelleva), che diventa attività psicologica complessa nei momenti di difficoltà o delle scelte.

L’auspicio ovviamente è tornare a sorridere, godere e vincere, perché parlottando in privato è questo l’unico obiettivo, al di là delle professioni pubbliche votate all’understatement. Setti, anche se non lo ammetterà mai, ha ingranato umilmente la retromarcia, ora tocca a Fusco e Pecchia mettere la quinta.

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