Mea culpa mia laicissima culpa. Sgrano il rosario pagano e m’inchino a Pazzini, che il sottoscritto (peraltro in folta e ottima compagnia) in estate aveva bollato come ex campione sul viale del tramonto e dopo le prime giornate di campionato un ex campione che – al limite – avrebbe raggiunto un bottino di 15-20 gol a mezzo servizio, ma solo per l’inerzia di una classe (la sua) in contrasto con la mediocrità del campionato. Ma la scarsa qualità del torneo c’entra fino a un certo punto: questo Pazzini, che alla faccia mia e nostra non è ancora un ex, probabilmente sarebbe prolifico anche in serie A. Solo gli ingenerosi – presumo cresciuti con le statistiche spacciate per l’assoluto di Tosatti (pace all’anima sua) alla Domenica Sportiva – in settimana sminuivano le prestazioni del nostro puntualizzando che “be’ sì otto gol ma con cinque rigori”, senza accorgersi che il calcio non è la boxe e nemmeno il basket e che dietro i numeri e le percentuali, spesso limitanti, si cela la realtà. E la realtà dice che Pazzini è un calciatore ritrovato, anche atleticamente (nonostante le entrate killer che anche ad Ascoli ha dovuto subire). I due allunghi da centometrista ventenne in cui si è prodigato nelle ultime due partite al Bentegodi (che giustappunto non rientrano nelle statistiche) ne sono il manifesto. Non c’è dubbio che il Pazzo, già ai tempi del Milan, fosse stato tormentato da guai fisici che per i maligni erano il segnale di un precoce canto del cigno. Per questo, ora, è importante celebrare la sua rinascita, un risorgimento che va oltre ai gol e che riapre anche molte considerazioni (finalmente positive) sui quattro anni di contratto che ancora lo legano al Verona.
A Pazzini invece ci ha sempre creduto il ds Filippo Fusco. “Guarda che farà sfracelli” mi diceva in estate mentre io esprimevo più dubbi che San Tommaso nel Vangelo. Credo che Fusco, personaggio sui generis in questo mondo del calcio (e non è retorica sottolinearlo), sia il vero artefice del Verona. Lui, giustamente, sposta meriti e attenzioni su “Fabio” – così lui chiama Pecchia -, ma Fusco ha costruito una squadra pronta per stravincere la B (al netto della scaramanzia sarebbe uno scempio calcistico fallire l’obiettivo) e con una base adatta a ben figurare anche in A – penso appunto a Pazzini, Romulo, Bessa, Fossati, Valoti e Pisano. Fusco, un benestante idealista e colto, lontano da cafonerie grossolane ed esponente di una classe sociale più estinta dei panda come la ‘borghesia illuminata’, insegue il suo sogno, che è la serie A, per lui non solo una categoria ma anche una meta esistenzial-professionale. Questa, infatti, è anche la sua occasione, l’occasione di un dirigente da anni nel calcio, ma sempre un passo di lato, mai protagonista, mai davvero centro di gravità permanente. E ieri sera, dice chi gli è vicino, Fusco era particolarmente euforico per il primo posto raggiunto, traguardo parziale ma significativo.
Già la vetta. Scrivevo una settimana fa, dopo il positivo (ribadisco) pareggio con il Brescia, sulla mia pagina pubblica di fb: “E’ solo questione di tempo”. Ed ecccoci lì, ma adesso è il momento di accelerare, come una Formula Uno più veloce delle altre che dopo una serie di ostacoli, doppiaggi e traffico in partenza ha la strada finalmente libera. Diamo gas.
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