Resilienza: capacità di un materiale di sostenere gli urti senza spezzarsi.
In principio il termine fu coniato e utilizzato nella meccanica e nel tessile, da qualche anno è in voga nel settore della psicologia, anche sportiva.
Oggi “resilienza” è l’imperativo del Verona, che da un mese a questa parte ha perso brillantezza e fluidità e dunque non è più in grado di proporre con efficacia il suo gioco, ma che deve trovare il modo di resistere da qui a gennaio, mese della (beata) sosta e del mercato.
C’è un problema di fondo: il Verona, che non sa più giocare di dominio, forse non ha le caratteristiche (tecniche, tattiche, fisiche e mentali) per vincere di rimessa, cioè con l’attenzione al dettaglio e la dedizione all’episodio (vedi i gol subiti allo scadere dei tempi ieri), manchevole com’è di furbizia sparagnina, muscolare praticità, capacità difensiva e costanza mentale. Il Verona vince spesso quando è bello, di rado quando non lo è. Insomma è condannato a piacere. E’ un limite, che ha una spiegazione.
Come ho già avuto modo di scrivere e dire in tempi non sospetti, Pecchia sa proporre solo un tipo di calcio (e se quello non riesce non ne emergono altri) e i giocatori determinanti della squadra sono ottimi specialisti (intendono il gioco in un solo modo), ma pessimi universali (non sanno adattarsi ai mutamenti). Gianluca Vighini dunque ha centrato il bersaglio: la coperta è corta e Setti a gennaio deve mettere mano al portafoglio, perché Fusco solo con l’inventiva e gli scambi poco può. Occorrono un leader in difesa, un giocatore fisico e di corsa a centrocampo e un’ala che faccia la differenza. Ma è necessario anche che Pecchia allarghi le vedute e gestisca meglio la rosa a disposizione.
Nel frattempo resilienza, perché prima del mercato e della sosta ci sono 4 partite da giocare: Vicenza, Entella, Carpi e Cesena. Il Verona, pur nella sua opacità, ha le possibilità di mettere in cascina almeno altri 7-8 punti e girare a 41-42. Firmerei.
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