Vedi pure un arcobaleno sulla strada verso casa. C’è un raggio di pallido sole a illuminare la ricerca di quiete dei propri pensieri. La tempesta è finita. Tempesta di pioggia e di ormoni, di vento ed emozioni coronariche. Provaci tu a raccontare quello che è successo al Bentegodi tra l’88’ e il 95′. Sette minuti come le 9 settimane e 1/2 di Kim Basinger e Mickey Rourke. Spengo la musica, tanto non la sento: guidare porta a pensare e allora rivedi la classe di Bessa, dieci d’antan, efficace bellezza; la folle anarchia di Romulo, che s’eclissa e si illumina, si concede e svanisce, lo maledici e lo abbracci; la metamorfosi di Troianiello, lui l’incredibile Hulk sguaiato che si strappava le camicie e che ora da docile padre invita al basso profilo.
Rivedi e rivivi lo stadio, la curva, la bolgia, i colori, il turbinio di emozioni di cui non puoi scrivere perché non le puoi descrivere: ci dovevi essere e basta. Scorrono gli abbracci e le urla pure in tribuna stampa, perché ok la professione, ma il Verona batterà sempre il disincanto e certe giornate prendono a pugni qualsivoglia razionalità. Ecco allora che ribalti i tavoli, ci salti sopra, c’è la gioia in quei gesti, ma anche la frustrazione repressa di tanti minuti: frustrazione e gioia, i contrasti emotivi rendono l’essere umano così affascinante. E poi tutto quello che era ammassato lì – carte, file word, parole, righe, pensieri – non conta più. La storia scritta fino ad allora è vecchia, il mondo è cambiato in sette minuti. C’è chi piange attorno a me: cazzo vuoi parlare di tattica, cambi, ripartenze e amenità? Siamo in ventimila a cui è cambiata la giornata, forse pure il senso di una stagione vissuta fianco a fianco a un Verona indiscutibilmente forte, a volte pure bello, molte altre assente, ma sempre e costantemente anonimo, anemico, in assenza di carisma, come quella ragazza che passa due ore a scegliersi le scarpe perfette, ma è priva di sguardo, femminilità, malizia.
Abbiamo convissuto un’annata con un ds dall’idealismo fin troppo accademico, un allenatore dall’animo nobile ma impalpabile e un gruppo di ragazzi troppo perbene, ma in campo ci è mancato un qualcuno o un qualcosa, una partita, o anche solo un episodio capace di trasportarci, di farci battere il cuore, di immergerci nella lisergica via del pathos. Non c’è mai stato un vero motivo per buttarci nel fuoco e non c’entra la tecnica, la tattica, il gioco che non c’è. E’ questione di feeling, che quest’anno non è mai scattato.
Ecco, credo sia stata l’epica la grande assente. Oggi improvvisamente si è presentata in quei sette minuti. Pioveva, magicamente ha smesso. E io sulla strada di casa ho spento la musica (che tanto non si sentiva): volevo assaporare la lievità dei miei pensieri: l’Hellas Verona, lo stadio, la curva, chi piangeva attorno a me, la felicità. Che bello.
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