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LA LEZIONE DI SCEMMA (CHE SETTI NON IMPARA)

Paolo Conte spiega il Verona. “Onda su onda il mare mi porterà alla deriva, in balia di una sorte bizzarra e cattiva”. Quando sei dannatamente senza parole ti affidi ai poeti.

Giampaolo Pazzini racconta il Verona: “Il problema non è che non segniamo, il problema è che non tiriamo in porta. Ci manca coraggio e gioco. Pure l’anno scorso in B abbiamo fatto fatica per due mesi, figuriamoci ora in A. La mia panchina di inizio campionato? (faccia eloquente, nda) Per ora non ne parlo, saprete tutto più avanti, posso solo dire che io non ho mai voluto andare via da Verona”. Quando ti sei abbondantemente rotto le palle delle solite scuse, delle ridicole dichiarazioni, arriva Pazzini a scoperchiare il vaso di Pandora.

Dopo la Sampdoria ero intimamente perplesso. Un pari raffazzonato, stiracchiato, con una Samp parsa limitata da se stessa, dalla propria sufficienza, più propensa a gestirsi, al compitino, e con calciatori determinanti in panchina. Ciononostante il Verona è riuscito a fare una fatica boia anche lì, e se non ha perso è grazie a tre circostanze fortunose. Certo, con qualche cenno di vitalità, ma uno strapuntino nulla più.

Ma ho preferito seguire la lezione del saggio: “Piuttosto di parlarne male, non parlarne”. In questi giorni serviva alimentare con senso di responsabilità quel flebile spiraglio. Meglio il silenzio che l’ipocrisia. Ma ora a travolgerci è la realtà. Impietosa. Ineluttabile.

La Lazio ci ha riportato sulla terra, anzi sotto, dove il Verona sta sprofondando, con rilassata rassegnazione e boriosa presunzione.

E quel che è peggio è che siamo senza guida, con un allenatore che pare inadeguato, catapultato in un mondo più grande di lui; un direttore sportivo ciecamente e acriticamente innamorato del suo tecnico e della sua (presunta) idea di calcio, nonché in difetto di carisma e dunque con tutta probabilità non all’altezza nei compiti di gestione quotidiana, ma soprattutto – ed è la cosa che fa più male – un presidente di fatto assente, freddo, distaccato. Setti “ha dei doveri nei confronti della piazza. Se fai il presidente del Verona non hai diritto alla ritrosia” mi e ci ha ricordato quel maestro di giornalismo che è Adalberto Scemma, uomo dalla schiena dritta e dal cervello fino. E l’onestà intellettuale e il senso critico in questo momento ci servono come il pane, perché ci aiutano a capire e a vincere lo smarrimento.

Il resto lo fa la fede. “Il Verona ha un’epica gloriosa e tragica, che tocca gli estremi. Lo scudetto e il fallimento, la grande Europa e la serie C. E le due più incredibili e pirotecniche retrocessioni della storia del calcio, quella del 2001 con Malesani e del 1958 con Del Vecchio. Il Verona è follia e squilibrio. E lo squilibrio è vita, è la Fenice, è la poesia della resurrezione. Meglio folli che piatti, il piattume è morte, il Verona è vita. Per questo il Verona si ama”. Parole ancora di Scemma. Parole di amore.

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