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IN ASSENZA DI CARISMA (PECCHIA, FUSCO E SETTI)

Sarà stata l’ora, mezzanotte inoltrata, sarà che a vederlo, Fabio Pecchia, mi è sembrato un cane bastonato. Così il mio lato marzullesco, fino ad allora inconsapevole, si è manifestato: “Pecchia. perché non è mai sbocciato l’amore tra lei e Verona?”. Sì gliel’ho chiesto, perché la cronaca lo imponeva dopo i cori e lo striscione in curva sud, ma soprattutto perché, gira che ti rigira, è una domanda decisiva.

Mi rendo conto che scomodare Marzullo con il Verona è pericoloso, sai mai che poi arrivi Setti a ricordarci che l’Hellas è stato fondato dagli studenti greci, però che volete, la domanda mi è uscita così…

Devo aver toccato un tasto dolente perché Pecchia non mi ha fatto finire, ha lasciato perdere per un attimo l’abituale compostezza e con un lampo d’anima è uscito dall’archetipo del solito copione professionale, interrompendo quella stanca recita che sono diventate le conferenze stampa degli allenatori italiani. Pecchia, finalmente, si è acceso: “Io sono innamorato di Verona, vivo qui con la mia famiglia, qui le mie figlie vanno a scuola. Da parte mia c’è il totale innamoramento per questa città, ma io devo pensare ai risultati. L’anno scorso ci chiedevano di andare in serie A e siamo andati in serie A, quest’anno ci chiedono di mantenere la categoria e manterremo la categoria”.

Ecco, credo che a Pecchia, come a Fusco, sia sempre mancata l’empatia con questa piazza. Certo, in tal senso mica potevano andare a scuola da Setti, che del distacco con Verona ne ha fatto un manifesto. Così Verona, piazza identitaria, si ritrova non solo con un presidente poco passionale, ma anche con ds e allenatore privi di “chimica”. Aggiungo: siamo passati da un estremo all’altro, dagli strabordamenti del Mandorlini “capopopolo”, caudillo tale da saper diventare per alcuni quasi un’entità indipendente dal Verona, un club parallelo da tifare, all’assenza totale di carisma di Pecchia e Fusco (e di Setti).

Pecchia dice di pensare solo ai risultati. Ma anche quelli, in serie A e dopo undici giornate,latitano. Credo che la quota salvezza s’aggiri sui 35-36 punti, tenendo conto di un Benevento già spacciato e di un girone di ritorno in cui le pericolanti storicamente accelerano. Il Verona deve portare a casa almeno 10 punti nelle prossime 8 giornate per chiudere il girone d’andata a 16 e tenere accesa la fiammella della speranza. E se con Juve e (in parte) Milan la faccenda pare proibitiva, saranno le sei partite con Cagliari, Bologna, Sassuolo, Genoa, Spal e Udinese a dare le carte al nostro campionato. E’ lì il nostro futuro: sofferenza o condanna senza appello già a gennaio? 

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