Il pensiero di (quasi) tutti è inconfessabile: si può anche perdere, anzi forse non è poi un male. Per un giorno tornare a vincere, ma soprattutto a essere il Verona. Senza di lui. Perché il nostro Verona, non è il suo Verona. Non è questo Verona che lui ha scolorito, annacquato, fino a renderlo una brodaglia indigesta.
Quando un’intera tifoseria si ribella (con intelligenza e civiltà) a te, significa che sei…altra cosa, che hai passato il segno, che hai trasformato un patrimonio (di storia, di sentimenti) di tutti in roba solo tua. E allora è giusto che giochi da solo, che te la canti e te la suoni. E che magari perdi, resti in B, ché prima o poi i paracaduti finiscono e magari si aprono le condizioni per vendere. Ma puoi anche vincere, buon per te, ma è il tuo gioco, solo il tuo, e allora noi lì ci fermiamo, non vogliamo essere coinvolti, non ci interessa più.
Ora l’unica linea della salvezza è l’identità e l’appartenenza della comunità gialloblu. Rimangono solo quelle migliaia di tifosi là fuori, incazzati, ma uniti e consapevoli. Il Verona, il nostro Verona, è quello. Non è morto, lui là in alto lo ha solo momentaneamente messo in soffitta. Ma se la piazza rimane unita, consapevole e incazzata tornerà, eccome se tornerà. In attesa che anche qualcuno là in alto, in città, nel Palazzo della politica, cambi marcia, senza più foto insieme, sorrisi e inaugurazioni.
Una volta si era “soli contro tutti”. Oggi mi viene in mente Vasco: siamo solo noi. Ma non è poco. Accidenti se non è poco.
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