“La libertà è un dovere, prima che un diritto è un dovere”. Lo diceva Oriana Fallacci, credo sia una frase universale. Andrea Mandorlini, lunedì sera a margine di Verona-Sassuolo, prima si è arrabbiato con Giovanni Vitacchio per una domanda, poi si è allontanato evitando l’intervista con Telenuovo. E ha sbagliato. Con degli alibi, ma l’errore rimane.
Gli alibi li conosce chiunque abbia anche solo fatto un intervista “a caldo” nella sua vita. I dopo partita in sala stampa sono da sempre carichi di tensione. Figuriamoci quello di lunedì sera, dopo una gara tirata contro una diretta concorrente. Figuriamoci per un sanguigno, irrequieto ed emotivo come il tecnico ravennate. Che, è giusto sottolineare, non è stato il primo e non sarà l’ultimo a baruffare con un giornalista (fa parte del gioco anche questo). Anzi, se vogliamo, il modo in cui lo fa Mandorlini a tratti è perfino buffo da quanto è grossolano. Ci sono allenatori ancora più irruenti e irritanti in giro che, a differenza sua, manco hanno l’umiltà di scusarsi e ti tengono il broncio per l’eternità. Penso al vulcanico Gigi Delneri per diretta esperienza, ma – raccontano i vecchi cronisti – anche a Eugenio Fascetti e all’insospettabile Edy Reja. Lo stesso Bagnoli non era un mansueto. Voglio dire, non tutti sono educati come Remondina, ironici come Ventura, “cardinalizi” come Prandelli , o compassati come Perotti.
Al netto degli alibi, però, il mister ha sbagliato. Ha sbagliato perché Vitacchio (o chiunque nel suo ruolo) in quel momento non è un privato cittadino che legittimamente ti può stare sulle scatole. E’ un (bravo) professionista che rappresenta un emittente e quindi un pubblico, che vuole sentire l’autorevole parere sulla partita dell’allenatore della sua squadra. Montanelli lo ripeteva spesso: “Il mio padrone è il pubblico, io faccio il giornale per esso e non per me stesso”. Quindi il Mandorlini “disertore” manca di rispetto in primis alla gente (la gente che lo ama e che non lo ama, non fa differenza) e solo in secondo luogo alla professionalità di Vitacchio, il quale rappresenta il pubblico (Telenuovo) e non se medesimo. Non bastasse, il Mandorlini “disertore” manca di rispetto anche a… Mandorlini e al suo ruolo, peraltro ben remunerato perché è un bravo tecnico, ma altrettanto ben remunerato (anche) per sopportare pressioni e critiche (peraltro lievi qua a Verona), giuste o sbagliate che siano. Fanno parte del lavoro anche quelle.
Chiunque lavori in posti di responsabilità ne è conscio: più onori (leggi stipendio e mansione) significa per forza di cose più oneri (leggi pressioni da gestire). Vale in qualsiasi azienda, nella fattispecie vale anche per il professionista (non l’uomo privato) Mandorlini. Se poi lavori sotto la luce dei riflettori, onori e oneri si moltiplicano a dismisura. Essere personaggio pubblico ti dà popolarità, visibilità e guadagni economici (se il calcio non se lo filasse nessuno, col cavolo che girerebbero certi stipendi). Onori, appunto. Ma può servirti anche critiche, domande impertinenti, scazzi e perfino colpi bassi. Oneri, quindi. E’ l’altra faccia della stessa medaglia, una non può esistere senza l’altra, o tutto o niente. Nei sistemi democratici funziona così: esiste la libertà di critica e di fare domande. La libertà di applauso e di genuflessione preferirei lasciarla alle dittature.
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