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NON C’E’ FUTURO SENZA PASSATO. SETTI NON “SPROVINCIALIZZI” TROPPO

Mani lunghe e affusolate. Alto e dinoccolato. Barba da santone, denti gialli da fumatore incallito, spalle larghe e fisico invecchiato ma ancora nervoso. Sguardo intenso e carisma innato. A vederlo da vicino, il Max, cofondatore e primo capo delle Brigate Gialloblù negli anni ’70, trasuda tutta la sua storia. “Le Brigate Gialloblù nascono apolitiche, l’unica cosa importante era tifare il Verona”. Da far sbiancare le verginelle mediatiche di oggi, anche il rapporto con presidente, allenatori e giocatori: “Una volta volevamo prendere a calci il grande Gianni Bui, Garonzi ci temeva, e per me è stato il miglior presidente del Verona, adesso basta una piccola polemica, un coro e i giocatori fanno le vittime. Troppo coccolati e strapagati”. Affascinante nei suoi aneddoti, calamita nei ricordi, coinvolgente nel raccontarti gli antefatti della nascita delle Brigate Gialloblù, le quali, piaccia o non piaccia, hanno segnato Verona – non solo sportivamente, o sulle pagine di cronaca – ma soprattutto come fenomeno di costume e di aggregazione giovanile negli anni ’70 e ’80. Sarebbe bello rimettessero in ristampa “I guerrieri di Verona” di Silvio Cametti,  altro fondatore della Brigate, un pezzo di storia a cui qualsiasi giovane tifoso dell’Hellas potrebbe attingere, perché non c’è futuro senza passato.

Le ultime due puntate nostalgiche del “Vighini Show”, quella sugli anni ’70 e sulle Brigate, mi riportano paradossalmente al presente, alla nuova società insidiatasi in via Torricelli, a Maurizio Setti. Sono sempre stato incurante del refrain “Il Verona ai veronesi”. E per me la discriminante sulla adeguatezza manageriale o meno di Mr Setti non è mai stata la sua provenienza geografica. Sono tra coloro che pensano che se viene uno dal Giappone a investire nella mia squadra va benissimo. Anzi meglio, sarà meno condizionato dagli umori della “piazza”. Tuttavia Setti, bravissimo sinora, non deve cadere nell’errore contrario: quello di non badare per niente a ciò che è la veronesità, che come tutte le culture ha i suoi difetti, ma anche i suoi pregi. Spesso ho sentito il presidente affermare che vuole “sprovincializzare” l’immagine dell’Hellas. Bene ma… solo in parte. Le radici sono importanti, anche per Setti vale quanto detto prima: non c’è futuro senza passato.

Il Verona è un qualcosa di diverso dalle altre squadre, qua la maglia e i colori contano di più di qualsiasi risultato, di qualsivoglia vetrina, di Sky, dell’Europa o della televisione. E non è retorica, caro Setti. Per questo sottoscrivo la proposta di Gianluca Vighini: inserire i veterani gialloblù di Nanni, Bagnoli e Mascetti in società, magari – aggiungo io – componenti di un “ministero senza portafoglio” dentro il Consiglio di Amministrazione, esercitanti un potere consultivo, ma non vincolante.

Perché per leggere la storia complessa e controversa del Verona, occorre consultare anche chi quella storia ha scritto. Il rischio, altrimenti, è creare una grande società bella nell’involucro, ma slegata al territorio. Una società di carta velina, attraente alla vista, ma poco resistente. Insomma, Setti non “sprovincializzi” troppo, sarebbe un clamoroso autogol.

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