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L’AMAREZZA DEL TEMPO PERSO

Dopo aver visto il Verona di ieri (difesa alta, squadra corta, gioco e intensità) abbiamo la conferma che nulla prima aveva senso. Non lo aveva la squadra in campo; non lo aveva il campionario di frasi fatte per giustificare ogni debacle; non lo aveva una mentalità fatta di amici e nemici, di iconologici gufi e presunte cornacchie, da additare al pubblico ludibrio per abbandonarsi poi al furbo vittimismo; non lo aveva la difesa ad oltranza dell’indifendibile.

Ma abbiamo perso. Abbiamo perso ancora, obietterà qualcuno. Certo, contro l’Empoli sorpresa del torneo (capace di battere la Lazio e fermare Napoli e Fiorentina). Ma abbiamo perso e nel calcio, si sa, contano i risultati. Magari perderemo anche con il Milan e la Juve e non batteremo il Sassuolo. Il calendario (Palermo a parte) da qui a fine girone di andata è proibitivo e giocare con l’affanno psicologico di chi è disperato e all’ultima spiaggia porta a perdere partite come quella di ieri, quando l’Empoli – inferiore sul piano delle occasioni e del possesso palla, ma sornione, lucido e libero – alla lunga ha vinto sui nervi.

Eppure ieri abbiamo visto… calcio. Tiri in porta. Giocatori nel loro ruolo. Un’organizzazione di base. “Ora abbiamo una mentalità con la quale possiamo cercare di andare a vincere in ogni campo” ha detto in sala stampa Luca Toni a Giovanni Vitacchio. (Già, ora).

Straordinariamente ordinario, sorprendentemente banale. Irrimediabilmente amaro nel retrogusto di un’inquietante consapevolezza: quella di aver perso tanto, troppo, tempo.

P.s. Inopportune le parole di Toni sul suo ritiro a fine stagione, ma dettate da istintivo sconforto, dalla comprensibile e nervosa amarezza del momento, dai gol sbagliati (come ha ammesso lui stesso) e da una condizione che ancora non arriva. Non da dietrologie o secondi fini, come ho letto.

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