In principio fu Ranzani. Così definii Maurizio Setti la scorsa estate, all’inizio della sua esperienza da presidente del Verona (http://blog.telenuovo.it/francesco-barana/2012/05/24/ma-e-setti-o-ranzani/). Mi ricordava neanche troppo vagamente il personaggio inventato da DJ Angelo e Albertino per Radio Deejay prima, e Zelig poi. L’imprenditore rampante venuto dalla provincia che tenta di introdursi nel jet set, un simpatico “son e ho tutto io” un po’ smargiasso e un po’ pacchiano. Mi divertiva di Setti quell’aria un po’ stereotipata da “self made man”. Slang e vestiti da per forza “ggiovane”, eloquio deciso, ma condito da un italiano stentato, accenno di barbetta fighetta, jeans a tubo aderenti o pantaloni colorati, camicia inamidata bianca e obbligatoriamente sbottonata, con vistoso catenone d’ordinanza al collo (mancava un po’di pelo, ma adesso va di moda la ceretta). A confortare e rafforzare l’archetipo c’era pure l’elicottero privato, il porsche Cayenne, la logorrea sfiancante e quel tocco da uomo di mondo super impegnato racchiuso – nella sua massima accezione – nello spettacolare: “Scusi Vighini sentiamoci dopo che sono in riunione”. Appunto un Ranzani in salsa nostrana, o se preferite il mitico Cummenda Zampetti dei “Ragazzi della 3 C”.
Volevo giocare sull’ironia, perché ogni inizio (che sia professionale, sentimentale, o di vita) va salutato con la leggerezza dovuta. L’inizio, appunto. Poi le domande è doveroso farsele e farle, senza curarsi della presunta pesantezza. Setti ho cominciato a studiarlo, a notarne le decisioni, carpirne i silenzi, seguirne le evoluzioni e le involuzioni. Già, perché un cambiamento c’è stato nel Nostro. Alla sua bulimia mediatica dei primi tempi, ha fatto seguito un lungo periodo di silenzio (su per giù dai cori su Morosini, alla cena di Natale). Più in generale c’è stato un cambio di atteggiamento nel numero 1 di Via Torricelli, che ha sposato un basso profilo che caratterialmente non gli appartiene, lui sanguigno passionale. Un minimalismo quasi forzato, dando l’impressione di una certa “distanza”. Perché?
Girano tante voci a Verona sulla composizione del pacchetto di maggioranza dell’Hellas Verona. Probabilmente sono solo chiacchiere, ma verso i tifosi che per anni hanno dovuto sorbirsi l’opacità pastorelliana (figli procuratori, l’ombra di Tanzi, le chiacchiere sulla società satellite del Parma ecc.) un po’ di trasparenza non guasterebbe. Perché Parigi val bene una Messa e a tutti ci piace la serie A (e Setti va ringraziato per gli investimenti corposi), ma noi veronesi siamo formiche e non cicale, amiamo fare il passo secondo la gamba, con la dovuta lungimiranza. E anche Pastorello, il primo anno, ci ha portato in A.
Perché Setti ha preso il Verona? La risposta “per passione” ci piace, ma forse non è sufficiente. Il libro “Fuori gioco” di Gianfranco Turano (edizioni “Chiarelettere”) spiega i ritorni economici che hanno dal calcio dieci presidenti di serie A, i più importanti. Chissà magari tutti gli altri lo fanno per passione, sebbene io non abbia mai conosciuto imprenditori filantropi (forse a modo suo il povero Conte Arvedi), ma così non fosse quale sarebbe il ritorno economico di Setti? Qualcuno afferma: i diritti televisivi in caso di serie A, perché il Verona per le pay tv vale dai 30 ai 40 milioni. Bene, ma pensate che le spese di gestione sarebbero tanto inferiori? Leggo su Larena.it del 23 agosto 2012 che Actress Industry, la holding di Setti, fattura 70 milioni di euro. Pochi o tanti per un imprenditore che si butta nel calcio? E quanti ne ha spesi Setti finora per la società? Modeste domande col solo intento di capire. A quando una risposta?
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