Lo stadio era deserto. La stampa non esisteva. Quello era un “non luogo”, alienato dal resto, dove regnava il silenzio. Non c’erano giornalisti, lecchini o rompicoglioni che fossero, non erano ammessi i tifosi, troppo rischiosa e ingestibile la loro passionalità. Non un coro, dunque, non un articolo, non un’intervista, niente di niente, il nulla, solo echi di vuoto e sorda indifferenza. I giocatori giocavano per se stessi, circolo autoreferenziale, onanismo imperituro, baci e abbracci, silenzio. Il poeta John Donne nel 1600 aveva toppato, lui che scrisse che “nessun uomo è un’isola appartenente interamente a se stesso”. E pensate l’ottusità del buon vecchio Hemingway, così ingenuo nel riprendere il concetto di Donne nel suo “Per chi suona la campana”. Quella città invece era un’isola, altroché, in quella squadra la campana suonava sempre per gli “altri”, distinti da sé, e le responsabilità erano sempre “altrove”, guai a cercarle in se stessi. In quel “non luogo” anche quel giocatore con il cognome da cantautore era contento, perché sapeva che non avrebbe mai dovuto pronunciare frasi tipo “troppe pressioni inutili su di noi, la piazza non ci sta aiutando”.
La stadio anche quella sera contava migliaia di tifosi appassionati, fedeli e sempre presenti. C’erano anche i giornalisti, rompicoglioni o lecchini che fossero, presenti anche loro per vedere, raccontare, rispondere a un seguito di pubblico interessato alle vicende di quella squadra. C’era pressione sì, ma perché c’era amore. “La tragedia dell’amore è l’indifferenza” scriveva Maugham. Quella sera lo avrebbe spiegato, in modo più prosaico ma altrettanto efficace, un grande ex di quella squadra: “Per giocare qui ci vuole responsabilità, bisogna essere pronti a livello psicologico”. Quel club era l’Hellas Verona, che non era un’isola, ma espressione di una città e di una comunità di tifosi appassionati, a cui rendere conto. Quell’ex era Daniele Cacia. Per questo quella stessa sera suonarono stonate e fuori luogo le parole di quel giocatore con il cognome da cantautore: “Troppe pressioni inutili su di noi, la piazza non ci sta aiutando”. Non aveva mai letto Donne probabilmente e non sapeva nulla di Hemingway o Maugham, ma ne siamo certi di lì a poco si sarebbe fatto perdonare…in campo.
P.S. Marco Fossati è un giocatore forte, fondamentale per il Verona. Per colpa di un infortunio non è ancora al top. Voglio pensare che certe dichiarazioni le abbia fatte per questo umanissimo e comprensibile senso di frustrazione. Gli auguro di tornare presto il giocatore che è perché ne abbiamo bisogno.
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