Voi la fate facile. Le storie di ieri già morte, sepolte, dimenticate. Capisco: anche il mio alter ego tifoso, come un innamorato, anela sempre una nuova speranza. Anzi ne necessita, di essa si nutre. Sennò che senso avrebbe ogni cosa? Intendo, il Verona: sostenerlo, seguirlo, gioire, imprecare. La vita è già dura, è fatica, l’elisir è di diritto.
Eppure io non posso. Non posso con disinvoltura scrollare le spalle e, noncurante, voltare pagina. Da giornalista devo essere razionale. Vi piaccia o no. Setti è in crisi di credibilità da tempo e non bastano due-tre strapuntini ruffiani o qualche foto con gli ex leggenda per colmare il gap. E sarebbe da miopi pensare di creare consenso solido e non effimero con la narrazione positivista e la sponda mediatica degli embedded.
Il tifoso oggi è informato e maturo e sa separare le cose: ama il Verona a prescindere, ma chiede altro al suo presidente. Serve tornare in serie A, investire lì e restarci. Come da promessa disattesa. Poi ne riparliamo. Le altalene ci piacciono con i nostri figli o nipotini al parco giochi. Di Carmine è un buon acquisto, ma basta? Chiaramente no e non metto fretta a nessuno, il mercato chiude a fine agosto e io sono della teoria che se sono forti possono arrivare anche all’ultimo. Ma se vogliamo vincere il campionato (minimo sindacale per la forza economica del Verona) servono altri quattro titolari (due difensori, un mediano e una punta esterna). Ma poi impertinente domando: i soldi per Di Carmine (a prescindere dalla formula tecnica dell’acquisto) non potevano essere messi a gennaio per due-tre giocatori? Domando, non affermo. Con terribile insolenza chiedo: perché alcune comparse l’anno scorso ingaggiate per la A, oggi vengono cedute (giustamente, intendiamoci) in B? Se non sono ritenuti all’altezza ora, come potevano esserlo un anno fa?
Ma non è solo quello, non c’è solo il campo. Per recuperare terreno va completamente cambiata l’impostazione filosofica settiana: il mantra “prima il bilancio” come feticcio assoluto, il surreale “io non vi faccio fallire” (ma dai? Grazie), danno l’idea di una società in affanno, senza spessore e grande prospettiva. E la percezione di un’altalena quasi programmata (non affermo che sia così, lungi da me, scrivo di una percezione della gente).
Sensazioni che spengono l’anima (e il dato degli abbonati in tal senso fa riflettere). Il resto è turbamento, disaffezione, disagio, sospetto, irritazione. La morte, lenta e agonizzante, del sentimento. E vale per chi si è abbonato e per chi ha deciso di non rinnovare. Così è se vi pare.
Lascia un commento