E così Ivan Juric fu. Nessuna sorpresa, la scelta era già stata compiuta prima dei play off. Chi mi segue sa che non ho mai parteggiato per la conferma di Aglietti, a cui resta il merito principale della promozione più carambolesca e fortunata della storia del Verona. Aglietti era stato scelto in un momento di emergenza e ha compiuto un’impresa meravigliosa in quel contesto. Ma era, appunto, un contesto particolare, oggi lo scenario è diverso. Quindi il suo addio, per quanto sentimentalmente amaro, sul piano tecnico ci sta.
Il punto qua è un altro. Juric era la scelta migliore tra quelle possibili? Mai come adesso allenatori liberi ce n’erano. Io avrei preferito Iachini o Nicola, più pragmatici, esperti e certificati. E anche più in linea sentimentale con Verona (nel calcio le dinamiche sociali incidono). L’allenatore croato invece è un integralista e il suo pedigree è controverso: un inizio di carriera scoppiettante e un lento e agonizzante scemare al Genoa tra esoneri, richiamate e nuovi esoneri. Un amico – politico genovese pragmatico e genoano sfegatato – mi dice che pur essendo Juric una persona seria e in gamba, da loro non ha saputo reggere le pressioni della serie A.
Con Juric devi costruire solo un tipo di squadra in linea con il suo 3-4-1-2, che poi è un 3-5-2 essendo il trequartista un mediano alla Rigoni. Ma non è il momento ora di addentrarsi nei dettagli tecnici. Dico solo che servirà un mercato chirurgico: devono arrivare giocatori “di gamba” sugli esterni e pensatori veloci in mezzo al campo. Tutto il contrario della squadra orizzontale, statica e palleggiatrice di quest’anno. Ma è la storia di Setti a suggerire il contrario: il Verona dopo Sogliano non ha più fatto un mercato calcisticamente logico, perciò la scelta del monolitico Juric cozza un po’ con il modus operandi “da varie ed eventuali” del club. Con Iachini o Nicola, allenatori adattabili alle più svariate situazioni, invece questo metodo (se così si può chiamare) era più coerente.
Neanche troppo sullo sfondo poi si riapre la ferita del presidente con i tifosi e la città, che Juric mostrano di non gradirlo affatto. In soli nove giorni Setti ha disperso quel piccolo credito (piccolissimo, per la verità) che si era riguadagnato (si fa per dire…) con la promozione. Nove giorni nove per polverizzare tutto. Un record che solo Setti e suoi inesperti pretoriani potevano compiere. Ma non mi sorprende neppure questo.
Ma soprattutto resta quell’eterno senso di precarietà di questa proprietà. Juric è una sfida, un’altra, l’ennesima. La sua storia è priva di mediazioni: in carriera ha fatto molto bene o molto male. Qui potrà fare molto bene o molto male, la via mediana non esiste con lui. Una sfida rischiosa di un presidente e un management fragili, finora non all’altezza della serie A. Insomma siamo ancora qua a contare gli spicci del fato, a sperare, privi di un progetto delineato. Come scrisse il poeta: del doman non v’è certezza. A Verona, in questa stravagante altalena tra A e B, ancor di più.
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