Giá visto. Come un dejavú. Con il solito amarissimo retrogusto della beffa. Giochi bene, non segni, sbagli l’impossibile, poi ti spegni come un’esangue candela. Black-out. Finish. The end. Il Verona butta nel cesso l’ennesima occasione di dare un senso ad un campionato che rischia l’anonimato e se va avanti cosí, anche il fallimento. Ormai non é più un caso e attaccarsi solo agli episodi é un esercizio inutile. Si tratta di capire, anche se si fa fatica. Come mai tre squadre mediocri, facendo lo stesso tipo di gara, hanno vinto? Il perché é da ricercarsi dentro il dna di questa squadra che non ha il sacro fuoco della rabbia, dell’orgoglio, nemmeno quello della cattiveria. É una squadra “ina” nel senso di “bellina”, “bravina”, “fortina”. La cosa incredibile é che il Verona non ricalca più l’indomito carattere del suo allenatore, quello guerriero e pugnace che abbiamo conosciuto, e, alla prima difficoltà, si scioglie come neve al sole, forse di testa, ma forse (e qui é piú preoccupante…) di gambe. La birra finisce, il titic titoc rimbomba nell’aria innocuo e l’irritante Cutolo del momento ci va dentro a nozze.
A proposito di Cutolo: perché farlo diventare un eroe, cadendo nella sua trappola? Perché non lasciarlo nella sua mediocritá, invece di costruirgli uno stadio che alla lunga é diventato una molla per loro? Era nessuno, l’abbiamo fatto diventare qualcuno.
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