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I MIEI SASSOLINI NELLA SCARPA…

Non mi sono piaciuti i tifosi dell’ultim’ora. Anzi, mi stanno sulle palle. Mi dà fastidio chi sale sul carro del vincitore quando la vittoria è lì ad un passo (tranne che se le cose non dovessero andare bene, dire “io l’avevo detto”). Ora che il traguardo è lì ad un centimetro (ad un centimetro ma non raggiunto), il Verona è tornato improvvisamente di moda. Feste, balli, canti, caccia al biglietto. Bello, tutto bello per carità. Ma bisogna pur ricordare cosa è successo in questi 11 anni. Ricapitolo. Il Verona è naufragato perché la città fece finta di non vedere (tranne rare eccezioni…) cosa stava combinando Pastorello. Il vicentino era appoggiato dall’establishment e da gran parte dei media locali che invece di svelare la verità, cioè il suo terribile conflitto di interesse (P&P che lavorava con l’Hellas) lo chiamava vergognosamente il “business man vicentino” come se quella fosse una tacca d’onore. Mi ricordo ancora finte dirette in cui intervenivano telefonicamente solo gli amici di Pastorello…

La città mise la testa sotto la sabbia. E l’unico alibi che si offriva alla mancanza di un disegno per il Verona era quello di mettere alla berlina i tifosi del Verona. Già, perché è meglio dirlo oggi: l’accusa di essere beceri e razzisti e forse responsabili di tre quarti dei mali del mondo, nasce qui, all’interno e non all’esterno. Per carità, poi qualcuno ci ha messo del suo a dare modo di scrivere e dire queste cose, ma è chiarissimo che l’esagerazione venne creata ad arte. Nel contempo e senza timore di essere smentito, il “salotto cittadino” offriva alla società del Chievo, cioè a Campedelli, l’occasione per diventare la prima squadra di Verona. Sulle maglie clivensi apparve come sponsor la Banca Popolare, cioè l’istituto bancario cittadino per antonomasia, un “segnale” forte che voleva dire tante cose.

Il Verona era tenuto con la testa sotto acqua, sotterrato dai debiti senza un piano. Tutti coloro che si approcciavano nel tentativo di allestire una trattativa scappavano davanti ai buchi milionari creati nel bilancio. Finì così che solo una pazzia di Arvedi, abilmente pilotato dallo stesso Pastorello, convinto anche da un presunto appoggio di un imprenditore foggiano, Casillo, permise al Verona di salvarsi dal fallimento. In realtà non lo fu tecnicamente, ma è come se lo fosse stato. Troppi i debiti, troppo lo sforzo economico. La squadra venne smembrata e Pastorello la indebolì ulteriormente facendo andare a scadenza i pezzi migliori che trovarono posto nel Genoa dove Pastorello divenne il vice di Preziosi.

In quel momento furono i tifosi del Verona diecimila e più fedelissimi a non mollare.

Il resto lo conoscete bene. Arrivò Martinelli che all’inizio era convinto di fare la fusione, così che il calcio veronese avrebbe trovato per sempre una collocazione. Il progetto naufragò ancora prima di partire. Martinelli diede l’anima e una paccata di soldi per riportare il Verona in B. Poi è arrivato Setti. Un altro non veronese. E sarà merito suo se, speriamo, si rigiocherà il derby in serie A. Non certo di Verona e dei veronesi facoltosi che ora sono pronti a saltare sul carro dei vincitori. Sono certo, perché li conosco bene: tra poco rosi dall’invidia diranno che Setti è qui per fare business, che è troppo distante dalla città, che… Al presidente dico: se ne freghi. Lui ha dimostrato di essere più veronese di tutti quelli che mettevano la testa nella sabbia e progettavano le fusioni.

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