Da sempre il calcio è un guerra figurata. Desmond Morris, sociologo inglese, descrive una partita di calcio come se fosse una battuta di caccia in cui il pallone è una preda e le due squadre, tribù che voglio catturarla. L’oplita greco che il Verona ha scelto per la propria campagna abbonamenti rimanda a questo immaginario. Una guerra figurata, perchè quella che ci aspetta il prossimo anno è una lunghissima battaglia.
Lo sport è questo: una guerra con regole precise in cui uno dei contendenti deve prevalere sull’altro. E in cui a fine gara, così dovrebbe essere, il migliore vince. Tutto deve avvenire dentro al campo di gioco. Gli inglesi, padri dello sport, ritengono lo stadio e il suo terreno sacro e inviolabile. Giustamente. Pensare di spostare la “battaglia” fuori dal rettangolo di gioco è qualcosa che non ho mai capito. Se mi identifico con la mia squadra di calcio, se accetto le regole, perché io devo ingaggiare una battaglia parallela ed esterna al terreno di gioco, a quelle regole?
Considero il calcio lo sport più bello. Quello che riesce più di ogni altro a identificarsi con la vita e le sue battaglie. Forse l’unico sport in cui anche uno 0-0 può essere meraviglioso, dove i campioni sono Maradona e Messi, due nanetti di pochissimo appeal fisico, dove può vincere il più furbo e non solo il più forte, dove la fortuna, proprio come nelle nostre esistenze gioca una parte affascinante e imperscrutabile. Troppo bello per essere rovinato con altre battaglie.
Mio modesto parere.
Lascia un commento