Non avevo mai respirato un profumo di calcio così intenso. Mai. L’ho fatto al Turf Moor, inebriato dal verde più verde mi sia capitato di vedere. Ho passato mezz’ora su quel campo cercando di assorbire quel profumo, quell’odore che sa di erba, di cuoio, di legno catramato, di tradizione, di passione. Conoscevo quel profumo anche se non l’avevo mai sentito, ma l’avevo letto sulle pagine di Nick Hornby. E ora il Verona, il mio Verona, la nostra squadra avrebbe giocato su quel campo. Ho visto la faccia di Luca Toni, quella di Mandorlini, di Sogliano. Avevano tutti negli occhi lo stesso messaggio. Loro professionisti del calcio, eroi di mille battaglie erano emozionati come me che a pallone ho giocato giusto nel campetto bislacco del Maffei, quello che fa angolo con Sant’Anastasia che quando hai scartato tutti hai ancora il maledetto muro davanti. E quello non lo puoi scartare mai.
Su quel campo di Burnley ognuno di noi ha vissuto due ore in totale armonia con il football e i suoi dei. La mia preoccupazione era potervi trasmettere tutto questo. Spero di esserci riuscito magari solo un pochino. Sarei felice di sapere che sono riuscito a condividere con voi questo momento così intenso.
Ps: A questo punto dovrebbe partire il pistolotto sul nostro calcio sempre più lontano da quello lì. Non mi va di farlo e per un semplice motivo. Quel calcio lì è frutto della civiltà inglese, del loro modo d’intendere lo sport e la vita. Semplicemente non è riproducibile senza quella componente essenziale. Purtroppo noi italiani non siamo inglesi. E lo dico con rabbia e purtroppo con rassegnazione. Il peggiore dei sentimenti perché appartiene agli sconfitti.
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