L’anello di congiunzione tra Mandorlini e Zeman si chiama Tachtsidis. Agli allenatori più diversi del calcio italiano piace lo stesso giocatore. Uno lo ha creato, lo ha piazzato davanti alla difesa e ora sta cercando di culminare l’opera rendendolo anche fine stoccatore. L’altro, che di ragazzi se ne intende assai, sull’altare (del) greco ha sacrificato persino la sua avventura romana, estromettendo il monumento De Rossi, pagando in contanti, sottoforma di esonero e bocciatura eterna (non la città) nel calcio che conta. Veramente meraviglioso quanto misterioso che a risolvere Verona-Cagliari sia stato proprio lui, il granatiere di Nauplia, l’anello di congiunzione. Ci teneva Mandorlini a vincere contro Zeman. Più di quanto avesse detto e fatto vedere. Gli rodeva e non poco quell’etichetta di catenacciaro che gli hanno voluto affibbiare, come se nell’equilibrio tattico, nella capacità studiata di non dare profondità agli avversari, non ci fosse lavoro e intelligenza, ma solo codardia e furbizia. Ora che diranno i giganti dell’opinione nostrana? Saranno capaci di rimangiarsi tutto in un sol boccone, visto che oggi qualcuno in sala stampa ha persino detto che Mandorlini è figlio di Zeman? Magari diranno che è solo fortuna. E dimenticheranno il gol regolare annullato, le due traverse, il secondo tempo, le mosse vincenti come l’ingresso di Hallfredsson e Jankovic (si il tanto vituperato Jankovic…) che hanno spezzato Zemanlandia. Ah proposito: il Verona ha undici punti. Come il Milan. Il prossimo avversario, sempre al Bentegodi…
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