Quindici anni in serie A non sono pochi. Sono una vita (calcistica) e solo per questo il Chievo meriterebbe un applauso. Qui il tifo non c’entra nulla. Ho tifato, tifo e tiferò sempre Hellas Verona e mai il mio cuore si sposterà da questo che ritengo un postulato. Ho sempre sostenuto, in mezzo a maree di critiche, che non si può tifare per entrambe le squadre. Ma ho sempre detto che chi tifa Chievo merita rispetto. E merita rispetto una società che in questi anni non ne ha mai sbagliata una. Mi veniva da sorridere l’anno scorso quando c’era chi sosteneva che “un’annata storta può capitare”. Certo capita quando una società perde compatezza, quando c’è chi lavora per indebolirla, quando la proprietà cerca di dirigere l’azienda a distanza, quando l’obiettivo non è quello prioritario. Può succedere, ovviamente, di retrocedere, ma non con le modalità con cui è retrocesso l’Hellas l’anno scorso. In un campionato con due squadre che sulla carta erano inferiori, il duo Gardini (a proposito, complimenti per l’Inter)-Bigon, ha creato uno scempio che resterà a lungo scolpito nella mia memoria. So che qualcuno, frettolosamente, si sta prodigando a mettere la polvere sotto il tappeto, dicendo che il passato è passato, ma stia sicuro che quel “qualcuno” mi troverà personalmente sempre sulla sua strada a ricordargli quel misfatto sportivo.
Tornando al Chievo: è esattamente la cartina di tornasole che quello che sostenevo sopra è vero. Il Chievo è retrocesso in B una sola volta, a 39 punti, giocando una gara in cui aveva due risultati su tre a disposizione. Quello “può” succedere. Per il resto Campedelli ha “ferocemente” difeso la categoria, prioritaria per il suo modo di fare calcio. Lo ha fatto alternando stagioni bellissime a stagioni “pragmatiche” in cui il bel calcio non ha certo varcato la porta del Bentegodi ma in cui il risultato finale era la vita stessa della società.
Liberatosi dei suoi fantasmi (leggi complesso d’inferiorità nei confronti dell’Hellas), il Chievo ha capito che poggiando sulla sua giovane ma nobile storia (fatta appunto di quindici anni di serie A e sul fatto di essere un quartiere di Verona), può davvero consolidarsi e trovare finalmente una sua identità. Il resto lo ha fatto una proprietà che è una delle poche in Italia a fare calcio vero. Nel senso che Campedelli fa calcio fine a stesso, non per motivi finanziari o pubblicitari. All’interno di questo ci sta che quello sia il suo lavoro e che in quanto tale produca anche ricchezza. Non è quello il problema. Il problema è essere lungimiranti, mettere le basi per un futuro (vedere Bottagisio per credere…), pensare al presente ma anche al domani, senza voler fare per forza i fenomeni. Il Chievo in sostanza è un piccolo grande esempio, capace di smascherare tanti ciarlatani che circolano nel calcio.
Lascia un commento