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GIALLOBLU SUPERSTAR

Trent’anni dopo che cosa significa lo scudetto dell’Hellas Verona? Su quella pagina di sport veronese sono state scritte migliaia di parole, si sono fatte analisi, si sono sprecati gli elogi. Mai abbastanza comunque. La frase più profetica la disse Domenico Volpati, il “dottore”: “Solo tra qualche anno capiremo che cosa abbiamo fatto”. La cosa incredibile è che più passa il tempo più lo scudetto conquistato dal Verona prende valore.

Quel campionato non fu vinto in un torneo che valeva poco (tipo quelli di oggi…), ma nel momento di massimo splendore del calcio italiano. In Italia c’erano tutti i più grandi, come se oggi Messi e Cristiano Ronaldo giocassero qui da noi e il Verona vincesse lo scudetto. E non è vero che allora il gap con le grandi era minore di quello di oggi. La Juventus vinceva sempre, come oggi, poi ci furono, certo, le eccezioni: Torino, Roma, Napoli, Sampdoria. Ma il Verona (mi piace chiamarlo così, perché alla fine per me, per noi, la squadra di Verona era solo e semplicemente il Verona, senza quel suffisso Hellas che successivamente venne a marcare più la differenza con il Chievo che nel frattempo aveva assunto nella propria denominazione anch’esso il nome Verona…), fu l’unica vera provinciale a conquistare lo scudetto.

La modernità di quella squadra, la bravura di Bagnoli non hanno oggi paragoni. Quando si parla di “maghi”, di Pep Guardiola e di scuole di pensiero, ci si dimentica troppo spesso di quello che Bagnoli ha rappresentato per il calcio. Solo Sconcerti, recentemente, fine conoscitore, ha riconosciuto al Mago della Bovisa i meriti che gli vanno dovuti.

La modernità di quella squadra è oggi ancora più evidente. Tricella, il libero che diventa un attaccante aggiunto, la spinta sulle fasce, Fanna e Marangon, il regista play-maker, le punte assortite, il tedesco caterpillar che spaccava con i suoi cingolati (Valentino Fioravanti, dixit) le squadre avversarie. Una squadra fantastica, assemblata da un meraviglioso allenatore, la cui immagine e le cui gesta, mai potranno essere paragonate a nessun altro tecnico veronese. A volte mi diverto a pensare che cosa farebbe Bagnoli con Saviola… Vabbè, lasciamo perdere.

Il Verona vinceva e divertiva, più in generale era Verona che in quel momento conosceva una vivacità che forse oggi gli è sconosciuta. Non che i problemi non ci fossero. Vi invito a vedere il bellissimo spettacolo teatrale scritto da Matteo Fontana e messo in scena da Ermanno Regattieri e Andrea De Manincor. Lo scudetto è sullo sfondo, ma Verona è in primo piano. Con gli omicidi, i rapimenti, le vicende oscure, l’eroina che uccise una generazione. A volte si uccidevano i figli per ingrassare i padri.

Verona fu anche questo e non soltanto lustrini e paillets e i gol di Briegel ed Elkjaer. Ma era una città brillante, vivace, ospitale. L’inebriante profumo dello scudetto, la festa del Bentegodi, l’atmosfera di perenne sagra paesana, sono i ricordi della mia adolescenza. Sono stato fortunato a vedere all’opera quella squadra e ho cercato, nel mio piccolo, di trasmettere quelle emozioni a chi non ha potuto vederle.

Quel Verona oggi è anche un monito a chi ci lavora e al rispetto che questa maglia merita sempre e ovunque. Come il Torino si fonda, purtroppo, sul mito della grande squadra scomparsa a Superga, così il mito fondante del Verona, quello più forte, è il legame con quello scudetto. Questo lo devono tenere presente tutti. Presidenti, giocatori, allenatori che passeranno nella nostra società. Verona non è e non sarà mai una piazza “normale”. Anche se è stata calpestata e a volte sfruttata sia dai politici sia da semplici “grassatori”. Il Verona è un patrimonio sociale che Verona purtroppo a volte fa finta di non conoscere. Resteremo per sempre unici, perchè unica è stata quell’impresa. Non bisogna avere pudore a festeggiare quello scudetto. E’ il nostro orgoglio. Gialloblù superstar.

PS. Del derby non parlo. Dico solo che l’unico senso che ancora può avere questa stagione è vedere all’opera qualche giovane. Così, giusto per capire se può essere utile per il prossimo anno. Su Agostini, invece, ci contiamo ad occhi chiusi.

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