Un noto collega di Padova, quando Gardini arrivò a Verona mi disse: “Dovete solo sperare che non metta mai mano alla parte sportiva”. Io gli risposi che Gardini aveva ruoli e competenze ben precise a Verona, competenze che gli erano state disegnate da Setti. “E’ la vostra fortuna” mi rispose quel collega di cui evito di fare il nome visto il tono confidenziale della conversazione “ma ricordati che la sua indole sarà, prima o poi di mettere le mani su quell’aspetto”.
Non gli credetti. Gardini mi pareva un dirigente capace, competente, scafato, furbo. E la sua furbizia mi sembrava al servizio del Verona in quel momento. C’è sempre bisogno di quel tipo di persone, soprattutto nel calcio italiano, soprattutto in un mondo in cui i furbi proliferano.
Dopo tre anni, in cui tutto a Verona era filato perfettamente a dicembre 2014 ho avvertito le prime crepe. Setti stava prendendo le distanze da Sogliano, in mezzo alla mia incredulità. Credevo quel rapporto indissolubile, Setti aveva dichiarato proprio in una mia trasmissione che “senza Sogliano non avrei preso il Verona”, i due sembravano fidanzati e su questo rapporto così stretto ci scherzavano pure. Gardini completava perfettamente il trio. Mentre Mandorlini godeva del lavoro di Sogliano nello spogliatoio, tanto da ottenere i migliori risultati nella sua carriera da allenatore.
Mi pareva impossibile che il presidente potesse alterare quell’equilibrio che aveva portato a fare tanti punti, plusvalenze e più in generale aveva permesso al Verona di tornare nel calcio che conta.
Invece qualcosa successe. Setti sposò la linea di Gardini, in pratica licenziò Sogliano, con alcuni pretesti (“Si è speso troppo” è il riassunto), peraltro senza mai averne discusso apertamente con l’ex ds e rafforzò Mandorlini, pur non amandolo, facendogli firmare un biennale, ma depotenziandolo di fatto visto che lo privò del suo vice. Mandorlini non si ribellò, firmò il contratto con a fianco Bortoluzzi, fidato vice di Guidolin, una mossa che era stata, come al solito, suggerita dal direttore generale.
In quel momento Gardini era uscito dai suoi confini. Non aveva più compiti e responsabilità limitate, era diventato il deus ex machina del Verona. Bigon, il nuovo ds, era un suo amico, non c’è uomo nel mondo del calcio che non lo sappia.
Il resto è storia di oggi. Un impasto di errori, superficialità, alibi e sfortuna (rigorosamente in quest’ordine) hanno creato la disastrosa situazione che è sotto gli occhi di tutti. In mezzo a questo marasma, con la grande chiarezza che uso solitamente, dico che è stato vergognoso apprendere in questi giorni che Gardini stava andando all’Inter. Potete metterla come volete: ma io credo che il Verona meriti rispetto, molto più rispetto di così.
Certo i messaggi oggi grondano miele, non me ne stupisco, ma resta questo sfregio fatto sulla pelle di un Verona che miracolosamente sta ancora cercando di salvarsi, grazie all’unica scelta che Gardini non ha preso quest’anno: l’arrivo di Delneri. Lui voleva Corini, è giusto ricordarlo.
Gardini può dichiarare tutto il suo amore per il Verona nelle lettere ufficiali, ma resta il fatto che da lunedì lavorerà con l’Inter e che certamente nessuno gli ha puntato una pistola alla tempia per lasciare l’Hellas a marzo.
Magari molti di voi possono anche pensare che l’addio di Gardini sia in realtà un bene e che quindi questa vicenda vada vista tutto sommato con favore. Io guardo un passo avanti: spero che il Verona non si riduca a fare la società satellite dell’Inter e che Gardini, da oggi, pensi solo al bene dei nerazzurri, senza voler allungare la sua influenza e mano ancora sul Verona. Qui, di danni, sinceramente, ne ha fatti anche troppi, come aveva profetizzato, ahinoi, quel collega padovano.
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