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SCUOLA, TORNELLI E DE GAULLE DA OPERETTA

 

 

Nel post precedente Silvestro mi chiede quale sia la via maestra per la riforma scolastica. Possiamo fare mille considerazioni didattico-pedagogiche e magari perderci nei ragionamenti col risultato di conservare lo statu quo di una scuola ridotta ad un bidone vuoto. Oppure possiamo scegliere un approccio chiaro e semplice. La via maestra è il tornello. Mi spiego: mia figlia Lucia è arrivata quasi alla fine del terzo anno di Economia e non ha mai visto un docente in faccia; ha fatto solo ed esclusivamente esami scritti, test che molto spesso puoi addirittura coreggere al computer in automatico. Quando la base degli studi universitari dovrebbero essere gli esami orali, il colloquio diretto tra studente e docente che solo può permettere a quest’ultimo una valutazione completa che riguardi anche la personalità, il carattere, l’approccio allo studio dell’allievo e non solo l’arido nozionismo. Ma gli esami orali sono stati cancellati in tutte le facoltà. Perchè non ci sono docenti a sufficienza? Non diciamo sciocchezze, sono uno stuolo: quando va male uno ogni dieci studenti. Ma interpretano la tanto decantata autonomia degli studi universitari allo stesso modo identico dei magistrati: autonomia vuol dire libertà di non fare una beata minchia, autonomia vuol dire divieto di controllarmi e verificare se mi guadagno lo stipendio o meno. E allora cominciamo dai tornelli. Tornelli per i docenti. Gli stessi che Brunetta vuole installare anche nei palazzi di giustizia perchè certi magistrati in nome dell’autonomia – come denuncia il ministro – lavorano due giorni alla settimana.

Se siamo fessacchiotti prendiamo per buono il loro blateramento – magistrati che ci assicurano che il buon funzionamento della giustizia è la loro unica preoccupazione, baroni che raccontano di non dormire la notte perchè la ricerca è senza fondi – se siamo appena smagati abbiamo capito che la difesa ad oltranza degli interessi corporativi e la loro unica e vera linea del Piave.

Tornando alla scuola, università e anche cicli inferiori, l’equivoco vero è quello dell’autonomia. Vogliono essere autonomi ma a spese della collettività. Quando è talmente evidente che o sei autonomo anche nel reperire le risorse finanziarie, come avviene per college e scuole anglosassoni che si mettono sul mercato e raccolgono le rette e gli stessi fondi per la ricerca a fronte del prodotto culturale che sanno garantire; o sei capace di fare così e sei giustamente autonomo, oppure dipendi dal finanziamento pubblico ma sei tenuto a seguire alla lettera programmi, orari e selezioni ministeriali. Rettori, presidi e docenti vari interpretano invece l’autonomia in questo modo vergognoso: farsi i…azzi loro a spese nostre, senza garantire nulla agli studenti.

La cura Gelmini è un aspirina per una scuola pubblica con la febbre da cavallo. Ed il primario capo è un tentenna: un momento sembra De Gaulle e tuona che darà direttive precise al ministro degli Interni per impedire le occupazioni che sono violenza contro la libertà e la democrzia; il momento dopo diventa la caricatura di De Gaulle, un De Gaulle da operetta, e frigna che lui la polizia nelle scuole non ha mai detto di volerla mandare…

Quando nelle scuole bisognerebbe mandarci, non solo la polizia, ma le forze armate al gran completo per garantire il diritto allo studio di tutti i cittadini, ed in particolare di quelli meno abbienti. Perchè come mi spiegava già quarant’anni fa lo Zwirner, quello vero (cioè il prof. Giuseppe, uomo di sinistra, del Partito d’azione, partigiano della brigata Trentin): una buona scuola pubblica è la garanzia di accesso al sapere per tutti. Se – proseguiva lo Zwirner – distruggiamo questa scuola (eravamo nel ’68) il ricco si salverà sempre andando a studiare all’esterno o nella scuola privata, mentre il poveraccio sarà condannato a restare un ignorante…Così come ha certificato l’Ocse in questi ultimi anni.

 

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