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I MILLE “MERIDIONI” D’ITALIA



 

La raffica di scioperi degli ultimi giorni ci confermano che non c’è solo il Meridione, luogo geografico pervaso dal tumore dell’assistenzialismo che ha ormai distrutto quasi tutte le cellule sane della cultura del lavoro, ma che ci sono anche gli altri mille “meridioni”, nemmeno delimitati geograficamente, che pervadono l’intero Paese: sono i meridioni delle corporazioni, dove domina l’interesse di casta ed è sconosciuto quello collettivo.

I “fannulloni” sono andati in piazza contro Brunetta che ha osato, dopo decenni di latitanza dello Stato, verificare che le assenze nel pubblico impiego siano davvero giustificate; quando le verifiche dovrebbero essere la contropartita logica e doverosa per chi ha il privilegio di lavorare nel pubblico a spese della fiscalità generale. Scioperano le hostess, queste “cameriere dell’aria” che hanno agio di girare il mondo e di essere pagate il triplo pur lavorando un quarto delle “cameriere di terra” di bar e ristoranti. Non parliamo dei piloti che lottano come aquile per star fuori dal mercato, cioè per non avere orari e stipendi equiparati ai loro colleghi stranieri. Scioperano i trasporti con autisti il cui orario di lavoro inizia ad essere conteggiato quando escono di casa. Scioperano docenti universitari che possono trascurare sia la ricerca che la didattica e restare ugualmente di ruolo a vita negli atenei.

E poi ci sono gli altri meridioni corporativi, che in questi giorni non hanno scioperato, ma che condividono l’identica cultura di casta: I magistrati che chiamano i controlli di produttività attentati alla loro autonomia; i giornalisti che pretendono di avere un ordine professionale senza essere liberi professionisti e anzi avendo la garanzia del posto di lavoro dipendente. E poi c’è il Meridione vero e proprio, intossicato da decenni di assistenzialismo, che resta il problema dei problemi. Fini e D’Alema tentano l’ennesimo depistaggio, la smenano con questa commissione bicamerale per l’attuazione del federalismo. La questione, anzi la domanda, è una sola: ce la facciamo a riconvertire un’economia assistenziale, basata sugli interventi statali a fondo perduto, in un’economia reale reale basata sul lavoro e la produttività? No, non ce la facciamo perchè appena chiudi i rubinetti al Sud scoppia la rivolta. Quindi non puoi che lasciarli aperti, quindi devi rinunciare ad un vero federalismo fiscale.

E poi ci sono gli italiani che lavorano. Qualcuno anche al Sud. E molti di quelli che lavorano- senza privilegi corporativi, senza paracaduti sociali, anche il sabato e quando capita pure la domenica – sono lavoratori stranieri. Hanno la stessa determinazione che avevamo noi negli anni Cinquanta e Sessanta. E adesso, che arriva la crisi, dovremmo rimandare a casa il muratore moldavo se resta senza lavoro? Qui tenderei a diventare un po’ maoista…Prima di rimandare a casa chi lavora, manderei i piloti e i baroni universitari a coltivare patate.

 


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