Torna al blog

BRUNETTA LO SHOPPING E L’ACQUA CALDA

 Siamo il Paese dove è vietato dire che l’acqua calda è calda. Tant’è che è insorta anche il ministro Mara Carfagna contro il suo collega di governo e di partito Renato Brunetta che, appunto, ha osato dire che l’acqua è calda: cioè che le dipendenti pubbliche vanno a fare la spesa durante l’orario di lavoro. Le abbiamo visto e le vediamo tutti (qui in Veneto dove viviamo, non nei ministeri romani né nei municipi campani…) però bisogna far finta di niente, altrimenti diventiamo dei “provocatori” (parola di Mara). Brunetta ha smesso di far finta, lo dice e lo denuncia in ogni occasione; anche al convegno sulle pari opportunità femminili, titolato “woman at work”, dove non ha avuto problemi ad osservare che le impiegate pubbliche alternano il lavoro allo shopping. Lo capiamo o no che proprio per questo Brunetta è diventato il politico più popolare d’Italia, secondo (forse) solo a Berlusconi?

Non lo capisce la Cgil che lo accusa di aver fatto l’ennesima “battuta da bar”. Non lo capisce la Carfagna e meno che mai la giornalista di Repubblica Natalia Aspesi che argomenta: “Quando un uomo, anche se è un ministro come Brunetta, ficca il naso nei tempi delle donne e dice la sua e suggerisce, consiglia auspica o proibisce, vuol dire che non ha la minima idea di come esse vivano”. La Aspesi accusa Brunetta di “sessismo” e propugna una sorta di apharteid tra i sessi, per cui solo le donne che capiscono le donne possono ficcare il naso nell’assenteismo femminile e, di conseguenza, solo gli uomini che capiscono gli uomini possono fare altrettanto su quello maschile.

Siamo alla separazione arcaica dei sessi come in moschea (e cinquant’anni fa nelle chiese); siamo delirio nel tentativo disperato di negare che l’acqua calda è calda. Quando Brunetta, lungi dal fare battute da bar, arriva proprio al nocciolo della questione femminile nel momento in cui spiega che “la lotta all’assenteismo per malattia è una lotta di liberazione della donna”. Certo. Perché, finché chiudiamo un occhio sull’assenteismo femminile, giustificandolo con le altre mansioni che la donna deve ricoprire a casa e in famiglia, non spezziamo mai quel cordone ombelicale che impedisce alla donna stessa di realizzarsi in pieno nel lavoro. Cioè le neghiamo di fatto la pari opportunità con l’uomo.

Il ministro mette poi a fuoco il problema dei problemi quando afferma che “il lavoro pubblico deve essere al servizio del cittadino e non può essere un ammortizzatore sociale di genere” Magari, aggiungo io, lo fosse per il solo genere femminile…In realtà lo è stato e lo è, un ammortizzatore sociale, per entrambi i generi anche quello maschile: uomini e donne assunti non perché le loro prestazioni servono alla comunità, ma perché a loro serve uno stipendio.

E finiamola di raccontarci che questo succede solo al Sud, a Napoli o a Palermo, in Campania o in Sicilia. Questo è successo e succede anche nel nostro Veneto. Perchè la scarsa stima che i veneti hanno degli statali non è certo maturata andando ai ministeri a Roma e all’anagrafe di Catania: è il frutto dell’esperienza quotidiana con il personale degli uffici pubblici delle nostre città; anche da noi troppi gli assunti senza alcuna utilità precisa per i cittadini.

24 commenti - 2.636 visite Commenta

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*

code