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PORTE APERTE A ROSARNO-ITALIA

 

Quando accaduto a Rosarno, con la rivolta dei clandestini africani, è la conseguenza logica ed inevitabile della politica delle porte aperte applicata in un Paese già di per se sbrindellato come il nostro. Porte aperte a chiunque arrivi, a prescindere dalle possibilità di un inserimento civile e dignitoso, non può infatti che produrre masse di disperati ridotti a vivere in condizioni disumane e sottoposti ad un sfruttamento da schiavi (25 euro al giorno per raccogliere agrumi) come succede appunto a Rosarno.

In questa situazione di base, qualunque scintilla può innescare la rivolta; rivolta che definirei perfino sacrosanta. Anche se poi a farne le spese sono i cittadini incolpevoli (non i mercanti di schiavi degli agrumeti) che hanno visto la loro cittadina devastata, negozi e auto distrutti, e che si sono rinchiusi in casa terrorizzati di fronte al divampare della “rabbia africana”.

Angelo Panebianco sul Corriere sottolinea la follia di rinunciare ad una legge contro la clandestinità (legge che la Corte potrebbe rigettare come incostituzionale). Spiega infatti che significherebbe rinunciare all’esistenza stessa dello Stato italiano; dato che qualunque Stato si fonda anzitutto sul diritto sovrano al pieno controllo del proprio territorio, e dunque sulla facoltà di decidere chi può starci legalmente e chi no.

In Italia per decenni il controllo dello Stato sul territorio lo abbiamo sostituito con le porte aperte, giustificate dai più ipocriti e farisaici motivi umanitari e/o preudocristriani. Col risultato che possiamo apprezzare a Rosarno: dove migliaia di africani vivono in condizioni del tutto umane e cristiane…

Senza un tetto preciso agli ingressi, e l’impegno a cercare di rispettarlo con ogni mezzo, l’immigrazione diventa ingestibile per qualunque Paese; figuriamoci per l’Italia sbrindellata. E i clandestini diventano una “risorsa” solo per quei farabutti di nostri connazionali che li schiavizzano negli agrumeti e in tante altre attività pseudo produttive. (attività che, se si reggono su una manodopera con costi cinesi, vanno semplicemente cancellate). D’accordo che in Calabria c’è la ‘ndrangheta da combattere, ma possibile che non si trovi il tempo per sbattere in galera nemmeno uno dei tanti “imprenditori” che sfruttano in questo modo i clandestini?

E qui c’è almeno un’ultima considerazione da fare. I casi eclatanti di sfruttamento dei clandestini esistono anche qui in Veneto e al Nord; ma sono l’eccezione rispetto alla maggioranza degli immigrati che lavorano e sono inseriti decorosamente nelle nostre città. Al Sud è l’esatto contrario: lo sfruttamento è la norma, il lavoro regolare l’eccezione.

L’Italia di oggi ricorda fin troppo gli Stati Uniti alla vigilia della Guerra di Secessione; quando in Massachussets i neri lavoravano da uomini liberi, mentre in Virginia erano ridotti in schiavitù…Non saranno mica i leghisti veneti, guidati da Zaia e Tosi, a dover marciare su Rosarno per andare a liberarli?

 

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