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MA IL PENSIERO NON E’ REATO

 

 

Di fronte alla vergogna delle intercettazione telefoniche che puntualmente, anche col caso Bertolaso, vengono date in pasto all’opinione pubblica, di fronte a questa barbarie, minimo bisogna ricordare che il pensiero non è reato. E che quelli intercettati, trascritti e prontamente passati ai giornalisti per la pubblicazione, sono appunto pensieri. Magari loschi, magari cinici, ma pur sempre pensieri. Mentre è solo con le azioni che si possono compiere reati.

Siamo alla distinzione che, al tempo della confessione, ci facevano i sacerdoti più illuminati: non si pecca – dicevano – pensando agli atti impuri, si pecca commettendo gli atti impuri. Così i tifosi della santa inquisizione giudiziaria dovrebbero ricordare che non c’è reato finchè pensiamo di ottenere un appalto in modo truffaldino, ma solo se nei fatti lo otteniamo con la corruzione. Caso esemplare quello del consigliere comunale Pdl di Milano colto in flagranza di reato non perché parlava di tangenti al telefono, ma perchè ne incassava una da diecimila euro.

Adesso, con il caso Bertolaso, abbiamo toccato il fondo. Siamo cioè arrivati a mettere alla gogna anche un semplice pensiero cinico, che nemmeno prefigurava un’ipotesi di reato. Mi riferisco al costruttore De Vito Piscicelli e alla pubblicazione della sua telefonata col cognato; telefonata in cui, alla notizia del terremoto, si compiace per l’opportunità che si prospetta con i lavori per la ricostruzione. Pensiero indubbiamente cinico, che ha suscitato immediate e corali reazioni sdegnate da quei sepolcri imbiancati che siamo un po’ tutti noi; al punto che ora i due rischiano la lapidazione se dovessero farsi vedere in giro…

Parlo di sepolcri imbiancati perché fingiamo di ignorare che, a livello di pensiero, il cinismo si spreca un po’ ovunque. Ma De Vito Piscicelli, come tutti noi, deve appunto rispondere delle sue azioni non dei pensieri cinici o laidi. E siamo molto più laidi ( e ipocriti) di lui se lo mettiamo alla gogna per i suoi pensieri cinici.

Faccio un solo esempio nell’ambito giornalistico. Quando arriva in redazione la notizia di un feroce omicidio, magari anche accompagnato da stupro e violenze varie, capita proprio di compiacersene e dire: finalmente un notizia degna di questo nome, un fatto che colpisce il lettore e il telespettatore; finalmente possiamo aprire il telegiornale con un servizio di sicuro impatto! Non come ieri che abbiamo dovuto accontentarci di quella conferenza stampa pallosa che non interessava a nessuno…Così reagisce e pensa anche il giornalista, ma non vuol dire che abbia commesso lui l’omicidio e lo stupro. Allo stesso modo ci sta che il costruttore per prima cosa pensi al business della ricostruzione, ma non vuol dire che il terremoto e le vittime le abbia provocati lui.

La cosa oscena delle intercettazioni pubblicate è che mettono in piazza quei pensieri laidi che tutti noi facciamo. Tutti noi, non solo gli intercettati. Mi rendo conto che le intercettazioni possono essere utili, anche fondamentali per le indagini. E quindi non mi sogno di dire che vanno proibite. Devono però essere solo lo spunto per una verifica, che può dare risultati ma anche no. Altrimenti siamo a Spatuzza, siamo a Ciancimino jr, siamo al letame buttato subito sul ventilatore per paura che risulti solo paglia e non faccia più effetto.

E, in attesa della verifica, del confronto sulle prove fatto con la difesa, le intercettazioni vanno secretate. Va impedita la divulgazione. Poco conta chi è a passarle ai giornali: se sono gli avvocati, vanno radiati dall’ordine; se sono i magistrati basta metterli in cassa integrazione con lo stipendio dei cassintegrati. Facessimo così, non uscirebbe più nemmeno una riga.

Non vi pare che dovrebbe restare almeno questo baluardo a difesa della civiltà giuridica? O dobbiamo continuare a considerare il pensiero comunicato per telefono un delitto consumato?

 


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