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UN MARCHIONNE PER SALVARCI

 Non c’è dubbio che la speculazione internazionale ha messo l’Italia nel mirino. Può darsi che il tutto sia orchestrato dagli Usa e che l’obbiettivo finale sia l’intera Ue, cioè l’euro da eliminare perchè concorrente del dollaro. Ma anche fosse così, è un fatto che l’assalto all’Europa comincia da uno dei suoi anelli più deboli: noi.

Quindi dobbiamo guardare anzitutto alle nostre debolezze. Sono debolezze derivanti dalla scarsa credibilità di un premier dedito al bunga bunga piuttosto che di un ministro delle finanze ospite non pagante dell’ex finanziere Milanese? Tutto questo certo non aiuta; ma sono debolezze contingenti: magari bastasse mandare a casa Silvio e Giulio per diventare un Paese serio, cioè capace di creare ricchezza e non abile anzitutto a sperperare spesa pubblica…

Purtroppo le nostre debolezze sono strutturali, cioè frutto di una (sotto) cultura politica stratificatasi nei decenni con l’apporto e il consenso di ogni schieramento politico. E’ la sotto cultura politica da Paese dell’Europa dell’Est venuta a gala in modo emblematico nel trattamento riservato a Sergio Marchionne.

Ogni Paese serio, che metta cioè in cima alla graduatoria la creazione della ricchezza e dei posti di lavoro, lo avrebbe trattato come un eroe e un benefattore. E così ha fatto l’America di Obama: inni di lode al salvatore della Chrysler. Noi invece trattiamo come un delinquente, uno sfruttatore degli operai , chi ha salvato la Fiat trasformandola – da decotta che era a carico della fiscalità generale – in azenda viva che compete, che investe, che mantiene e magari aumenta i posti di lavoro.

A Marchionne dovremmo intitolare le strade, erigere monumenti nelle piazze mettendo la sua statua al posto di quelle di Cavour e Garibaldi. Invece passano le parole d’ordine di Landini e della Fiom: è il ricco che vuole arricchirsi ancor più sulla pelle degli operai.

Il trattamento riservato a Marchionne è l’emblema della sotto cultura dominante. Ma ogni imprenditore, ogni artigiano, ogni partita iva che abbia guadagnato col proprio lavoro, con l’inventiva, con il rischio e la passione, viene trattato allo stesso modo: come un ladro, come un malfattore da braccare mettendogli alle calcagna branchi di burocrati incaricati di rendergli la vita (produttiva) impossibile, di azzannarlo con lacci e balzelli.

Se lui si compra il suv va messo il superbollo, se ha la casa di proprietà avanti con la patrimoniale, se prende i bot dagli alle rendite finanziarie. Ma è lui il ladro o il ladro è chi va in ufficio e, anche se non combina una beata minchia, a fine mese incassa lo stipendio?

Siamo – da sempre, quando Silvio ancora cantava in nave – il Paese delle “stangate”. Conviti cioè che la soluzione sia quella di aumentare le entrate fiscali. Ma è inutile aggiungere acqua in una cisterna traforata che la perde da tutte le parti. Anzi: più acqua ci butti più ne viene dispersa. Fosse combattuta fino all’estinzione l’evasione fiscale, servirebbe solo a triplicare le assunzioni nel pubblico impiego, cioè a portare la spesa pubblica (improduttiva) all’80% del pil!

Ci impegneremo mai a tappare anzitutto i buchi? A favorire gli investimenti dei ricchi tanto vituperati, invece che disincentivarli con tasse, regolamenti e burocrazie varie? Se mai lo faremo, vedremo anche al centro delle piazze delle nostre città la statua di Marchionne con la dedica “al ministro dell’economia che salvò l’Italia dal fallimento e la riportò in Occidente”

 

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