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LA RIVOLUZIONE CULTURALE DI MONTI

“Avanti con o senza il sindacato”. Romano Prodi, da saggio democristiano prudente, avrebbe evitato perfino di pensarlo; fosse scappato detto a Berlusconi, ne sarebbe scaturito un mese di sciopero generale con dieci milioni di manifestanti ai Fori Imperiali. Mario Monti può affermalo (e forse perfino farlo) senza che succeda nulla o quasi.
Questo dimostra che il primo risultato certamente già conseguito dal premier è una rivoluzione culturale; sono cioè caduti i tabù, almeno quelli linguistici. E così anche la presidente di Confindustria Emma Marcegaglia può dichiarare a ruota: “Sì al licenziamento dei fannulloni. Invito i sindacati a non proteggere ladri e assenteisti cronici”.
Chi prima avrebbe osato dire pubblicamente che esistono fannulloni, ladri, assenteisti cronici! E per giunta protetti dai sindcati?
Grazie a Monti oggi si può quantomeno discutere con un minimo di serenità – sui grandi quotidiani, nei talk show televisivi – evitando l’accusa di blasfemia che fino a ieri scattava come un riflesso pavloviano. Si comincia a comprendere la differenza tra la consultazione, che è corretto praticare con ogni rappresentanza sociale, e la concertazione che va invece respinta se significa subire veti e diktat a difesa di un interesse particolare che contrasta con quello generale.
Intendiamoci: la posizione dei sindacati, di tutti i sindacati, è comunque e sempre legittima. E’ vergognosa, è un autentica abdicazione, la posizione di quei governi (direi tutti fin’ora quelli repubblicani) che rinunciano a rappresentare gli interessi generali, a fare sintesi, subendo l’imposizione del tornaconto corporativo.
Vale ad ogni livello. Ci sono le istanze dei magistrati, ma ci sono anche sei milioni di cittadini in attesa di giudizio. Ci sono quelle dei giornalisti, ma c’è anche un’opinione pubblica cui andrebbe garantita un’informazione almena un minimo corretta. Ci sono le istanze dei medici o dei professori che vanno però contemperate col diritto alla salute e alla pubblica istruzione.
Nessuno discute il diritto-dovere dei sindacati di difendere il posto di lavoro dei loro iscritti. Ma può Monti ignorare che siamo l’unico paese europeo ad avere il triplo di disoccupati tra i giovani, 29%, rispetto al 9% della disoccupazione totale? Questa è la dimostrazione incontestabile (per chiunque non sia in malafede) che esiste una diparità di tutele tra chi è già entrato nel mondo del lavoro e chi cerca di entrarci.
Ed un governo, che si faccia carico dell’interesse generale, non può che porsi l’obiettivo di spalmare in modo più equo le tutele oggi possibili. Se il sindacato lo accetta, meglio; altrimenti si procede anche senza il suo benestare.
Gli economisti liberali Alesina e Giavazzi ricordano che andrebbe introdotta un’ulteriore equità, nel nome dell’uguaglianza tra dipendenti privati e pubblici. Bisognerebbe cioè che anche lo Stato potesse ridurre i propri organici tramite l’erogazione di un sussidio di disoccupazione, come potrà fare (a quanto pare) il datore di lavoro privato.
Ma per questo passo ulteriore, per equiparare dipendenti pubblici e privati, non basta una rivoluzione culturale: bisognerebbe che Mario Monti diventasse Mandrake…

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