La notizia dei cinque tifosi del Verona che lo scorso Dicembre cantarono Faccetta nera allo stadio di Livorno, e che per questo sono stati ora inquisiti, conferma che nel nostro Paese esistono limiti precisi alla libertà di espressione. Limiti imposti dalla Legge Mancino che punisce l’istigazione all’odio razziale.
Piaccia oppure no, la legge esiste e quindi va applicata. L’odio razziale pure esiste e talora si manifesta in modo virulento. Ma solo chi ignora le parole della canzone può immaginare che contenga questa istigazione. Chiunque si prenda la briga di scaricare il testo dalla rete, può constatare che Faccetta nera è l’esatto contrario: è cioè un inno all’integrazione razziale e – per dirla tutta – alle unioni miste tra i maschi italiani e le “belle abissine”, all’amore razziale se così vogliamo chiamarlo…
Sgombriamo anzitutto il campo dall’equivoco di ritenere questa canzone l’inno del fascismo che era Giovinezza. Mentre Faccetta nera era il canto della guerra all’Etiopia, della “conquista dell’impero”. Una conquista che non fu certo un pranzo di gala per i conquistati; ma che la retorica del colonialismo (di tutto il colonialismo, non solo di quello italiano) presentava come una liberazione dalla schiavitù, una “promozione” a miglior civiltà…
E proprio da qui parte Faccetta nera con la prima strofa: “Se tu dall’altopiano guardi il mare/ Moretta che sei schiava tra gli schiavi/ Vedrai come in un sogno tante navi/ E un tricolore sventolar per te”. Il tricolore sventola per lei, per la “bell’abissina”, perchè sta arrivando la flotta dei suoi liberatori.
I quali liberatori tutto le dichiarano fuorchè odio o discriminazione razziale. “ La legge nostra – precisano – è schiavitù d’amore/ Il nostro motto è libertà e dovere”. Insomma si mettono quasi in ginocchio, vien da dire, di fronte alla “Faccetta nera, piccola abissina/ Ti porteremo a Roma, liberata./ Dal sole nostro tu sarai baciata/ Sarai in camicia nera pure tu”.
Chiaro? Anche la camicia nera, cioè anche l’iscrizione al partito, erano pronti a darle! E non pensavano di tenerla segregata da amante nascosta e impresentabile in qualche capanna africana: erano pronti a portarla a Roma, a mostrarla a tutti pubblicamente, perfino a concederle subito la cittadinanza italiana!
Non si può infatti interpretare diversamente il ritornello conclusivo: “Faccetta nera/ Sarai romana/ La tua bandiera/ Sarà sol quella italiana!/ Noi marceremo/ Insieme a te/ E sfileremo avanti al Duce/ E avanti al Re!”
Al di là delle interpretazioni e (delle ironie), è un fatto storico che Faccetta nera, dopo l’esplosivo successo iniziale, fu abbandonata e progressivamente censurata dal regime fascista che, all’emanzione delle leggi razziali nel 1938, arrivò a proibirne la trasmissione alla radio: proprio perchè l’esaltazione della “bell’abissina”, il palpabile desiderio di amplesso multietnico, risultava sconveniente e contaminante per la purezza della razza ariana…
Concludendo con le toghe livornesi, nessuno pretende che conoscano le vicende storiche delle canzoni d’era fascista. Ma che almeno avessero fatto la fatica di leggersi il testo prima di denunciare per istigazione all’odio razziale chi canta Faccetta nera.
Lascia un commento