Evasione ed elusione, nel fisco come nel lavoro. La prima è molto più evidente: evade dal lavoro chi si da malato senza esserlo, chi timbra il cartellino e se ne va per i fatti suoi. L’elusione è più subdola: arrivo e mi siedo al mio posto, sembra che sia presente ma in realtà sono altrove, telefono agli amici, cazzeggio su internet, di fatto non lavoro.
Non c’è divieto né regola che possa combattere l’elusione. Patroni Griffi ha deciso un giro di vite al dipartimento della Funzione pubblica: saranno abilitate solo le telefonate urbane; niente più chiamate interurbane, internazionali o verso cellulari. Magari risparmierà sulle bollette, ma non ci sarà nessuna garanzia che i funzionari pubblici, anche senza telefonare agli amici, non stiano alla scrivania a grattarsi la pancia invece che lavorare.
Non ci sono leggi, divieti, sanzioni che servano. Ci vorrebbe altro. Chiamatelo senso civico, senso del dovere, etica del lavoro, ma questa è l’unica cosa capace di combattere l’elusione. E’ una questione culturale, fa parte o no dei cromosomi di un popolo. Più si alza la “linea della Palma”, meno fa parte dei cromosomi anche di noi veneti.
L’altra sera a Rosso & Nero, il prof. Gilberto Muraro (ex rettore dell’ateneo di Padova e docente universitario del tutto degno di questo nome. Uno dei pochi…) chi ha tenuto una vera “lectio magistralis” sull’etica del lavoro in Germania, spiegando che coinvolge tutti, gli operai come gli imprenditori, che significa impegno, serietà, rigore. Il lavoro come etica sociale, per cui lo stesso imprenditore tedesco non si mette a fare il finanziere, non specula in borsa, ma sente in dovere di reinvestire gli utili per migliorare l’azienda a beneficio della propria comunità.
Un tempo eravamo tedeschi anche noi veneti. Non posso dimenticare un gigante come Apollinare Veronesi che, quando creò nel dopoguerra il suo magimificio destinato a diventare in primo in Europa, aveva una precisa finalità sociale: promuovere il riscatto di quella sua montagna veronese, ridotta alla fame da un’agricoltura miserrima, che avrebbe avuto, come ebbe, una grande opportunità di crescita economica con il diffondersi degli allevamenti di animali da cortile che completavano la filiera del mangimificio.
Poi è salita la “linea della Palma”. Anche in Veneto dilaga una imprenditoria assistita, con l’impegno ad essere competitivi non nella produzione ma nel carpire i finziamenti pubblici, nel mettere le mani sulle privatizzazioni; sono arrivati gli investimenti “differenziati”, siamo alle prese con una seconda generazione di imprenditori dediti anzitutto al cazzeggio, né più né meno di certi pubblici dipendenti, ed in più esibendo un lusso tanto smodato quanto cafone. Un insulto per la propria comunità.
L’abisso che separa i nostri imprenditori da quelli tedeschi l’ha delineato Giuliano Ferrara, scrivendo che assistenzialismo, concertazione, mancato ammodernamento del mercato del lavoro hanno “spinto gli imprenditori e diventare supereroi delle vacanze di lusso e del disinvestimento e del consumo pazzo. Avete mai visto lo yacht billionario di un tedesco ancorato a Porto Cervo? Loro sono tutti a Rimini o se la godono in montagna, e per lo più lavorano”.
Gli imprendori tedeschi, hanno un etica sociale, per questo fanno vacanze sobrie e pensano a produrre. Quando manca l’etica, invece, te ne vai in Sardegna a gareggiare con gli sceicchi e i boss della mafia russa su chi ce l’ha più lungo (lo yacht).
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