Tra le tante fosche notizie che ci stanno introducendo al terribile autunno in arrivo, la più tragica è quella che riporta oggi in prima pagina La Stampa: secondo l’Istat l’Italia è ultima per produttività, negli ultimi dieci anni è cresciuta meno che in tutti gli altri 27 Paesi dell’Unione eurpoea.
Notizia tragica perchè assolve perfino quei nostri imprenditori cafoni che, invece di investire in azienda, comprano panfili o vanno a lezione di golf. Non si può infatti pretendere che qualcuno, italiano o straniero che sia, venga ad investire dove non si guadagna invece che dove si guadagna. C’è sicuramente anche un’etica del lavoro (senso del dovere civico verso il proprio Paese, l’opposto del panfilo…) ma la molla è e resta l’opportunità del guadagno, perchè l’impresa non è la San Vincenzo. E nessuno di noi è talmente “patriottico” da andare a bere il caffè dove fa schifo e costa il doppio.
Questo è il nostro Paese: un bar dove il caffè è cattivo e costa troppo, con conseguenze disastrose sia per il guadagno del datore di lavoro che per lo stipendio del lavoratore che per i posti di lavoro.
Le ragioni per cui siamo il fanalino di coda della produttività sono molteplici: la tassazione troppo elevata, la burocrazia che soffoca e taglieggia inutilmente, la giustizia civile desaparecida. Però non possiamo fingere che non pesi moltissimo anche la cultura del posto fisso, la mentalità da art.18 che si è ormai consolidata tanto nel pubblico quanto nel privato.
Non c’è giornalista nel mondo anglosassone che non abbia un contratto a termine, che periodicamente viene rinnovato o meno, incrementato o ridotto nella retribuzione, a seconda della produttività dimostrata.
Perchè mai dovrebbe essere produttivo un docente italiano quando sa che – una volta in cattedra – si impegni oppure no nella didassi e nell’aggiornamento, avrà la progressione di stipendio e nessuno potrà comunque licenziarlo fino alla pensione. Non si esclude, ovviamente, il senso del dovere e l’amore per l’insegnamento del singolo, ma il sistema del posto fisso a prescindere è un autentica istigazione al fancazzismo.
Quando mai sarà produttiva l’amministrazione della giustizia finché qualunque magistrato – conduca una inchiesta complicatissima a Milano o svolga una routine da pretore di provincia, mandi in carcere Enzo Tortora o Totò Riina, lavori o si dia malato per dedicarsi alle regate – avrà comunque i suoi scatti di anzianità ed andrà in pensione – tutti quanti, migliaia quanti sono – con lo stipendio di Primo Presidente della Corte di Cassazione, cioè con il top della retribuzione prevista per il pubblico impiego italiano. Una retribuzione così elevata che il sindacato delle toghe la custodisce come il Terzo Segreto di Fatima…
A Londra ho incontrato il fratello di un vecchio amico. Per vent’anni ha lavorato nel mondo della finanza, poi non gli hanno più rinnovato il contratto. Lui, nel frattempo, si è messo a studiare storia e sta per laurearsi ora che ha più di cinquant’anni. Mi raccontava che intende dedicarsi all’insegnamento. In Inghilterra puoi farlo a qualunque età perchè ti valutano e, se ti ritangono idoneo, ti assumono. Ovviamente a tempo determinato. Anche nella scuola pubblica, aggiungeva, non esistono contratti uguali per tutti: c’è un preside e un consiglio di amministrazione che ti assume e ti paga sempre in base alle capacità.
C’è una crisi che sicuramente è crisi globale ma che, ciò non ostante, continua ad offrire opportunità in più nei Paesi meno ingessati, dove il merito e le capacità individuali vengono riconosciuti e comunque valutati a tempo determinato. A Londra perfino un matusa come me potrebbe essere messo alla prova, perchè i contratti di lavoro mai sono vincolanti come lo era il matrimonio prima della legge sul divorzio. Mentre qui qualche giovane (pochi) ancora lo assumono, ma non esiste impresa che “sposi” un quarantenne o un cinquantenne rimasto senza lavoro.
Risultato: la nostra non può che essere una produttività da posto fisso, l’ultima d’Europa.
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