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INNO OBBLIGATORIO, PREGHIERE ANCHE

E’ un provvedimento parziale questo varato dal governo Monti con l’obbligo di recitare l’Inno di Mameli all’inizio delle lezioni. Per completarlo, in nome del Concordato, l’obbligo andrebbe esteso alla recita delle preghiere: si entra in classe e, dopo aver ricordato per quanti secoli siamo stati “calpesti e derisi”, si prosegue recitando tre Pater, Ave e Gloria…
Chiaro che le preghiere obbligatorie non bastono per affollare le chiese, per tornare ad essere cattolici praticanti. E così non basta cantare l’inno nazionale per diventare “italiani praticanti”. Proprio come non serve intonare “Dio salvi la mia casta!” perchè questa sia nei fatti l’unica appartenenza, l’unica “Patria” che riconosciamo e per cui ci battiamo: per preservare i piccoli o grandi privilegi della casta dei politici, dei giornalisti, dei magistrati, dei geometri, dei pubblici dipendenti, dei sindacalisti con distacco, di medici e avvocati, dei bancari etc., etc.
Queste imposizioni ridicole, da Totò a Palazzo Chigi, nessuno si sognerebbe di attuarle coi francesci, gli inglesi, gli americani o gli svizzeri: il loro inno lo cantano già perchè ci credono, perchè hanno l’orgoglio di appartenere alla propria Patria o Nazione che dir si voglia.
Noi no. Solo l’Italia post unitaria ha cercato in tutti i modi di radicare questo sentimento: con la celebrazione del Risorgimento, con l’insegnamento nelle scuole, con i monumenti nelle piazze di ogni città, con poeti come Carducci e Pascoli. Già col fascimo è tornata la frammentazione: con il varo, appunto, delle corporazioni – lascito perpetuo del Regime alla repubblica italiana – col fatto che non contava essere cittadini italiani ma i diritti derivavano anzitutto dall’iscrizione al Partito nazionale fascista.
Poi – coerentemente – è seguita la stagione dell’inno alle ideologie: eravamo prima democristiani o comunisti o socialisti; la nostra patria sono stati i partiti non l’Italia.
L’amministratore delegato dell’Eni Scaroni raccontava di un sindaco francese che aveva accettato di ospitare nella sua città un rigasifficatore, non ostante fossero modesti i benefici occupazionali e tante le critiche per l’impatto ambientale. Alla domanda sul chi glielo avesse fatto fare ad accogliere ugualmente l’impianto, quale sindaco rispose: perchè me lo ha chiesto il mio Paese.
Se e quando saremo disposti a fare qualcosa per l’Italia, contro il nostro interesse personale e di casta, allora sì che avremo cantato – nei fatti – l’inno di Mameli. Senza bisogno di aprire la bocca e di imporre pagliacciate ai nostri ragazzi (che magari canteranno anche ma poi, i più bravi, scapperanno via da questo paese senza Patria e senza futuro).

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