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UN VINITALY DA LADY DI FERRO

Non sono solo i giornali locali a celebrare il Vinitaly come esempio di un mondo produttivo che sfida e batte la pesantissima crisi economica. Lo fa anche Dario Di Vico sul Corriere osservando che “piccoli e medi industriali sfidano la recessione in campo aperto, esportano il 50% del prodotto e pensano addirittura di conquistare i mercati emergenti” come quello cinese
“Dimostrano alla fine – prosegue Di Vico – un modo di fare politica industriale dal basso”. Dal basso, non all’alto cioè senza l’intervento dello Stato. Direi grazie alla mancanza di intervento dello Stato. Dato che l’Istituto del commercio estero è defunto e le Camere di commercio sono carrozzoni che, per vie più o meno traverse, distribuiscono fondi per mantenere gli apparati delle associazioni di categoria invece che destinarli alla promozione.
Gli imprenditori del vino fanno tutto da soli, con l’inventiva con l’impegno e la passione: sono l’incarnazione delle politiche liberali di Margaret Thatcher. L’esaltazione delle capacità individuali che tanto più sono stimolate quanto meno ricevono aiutini pubblici. “I privati – diceva la Lady di Ferro – hanno diritto di vivere le loro vite e condurre i propri affari senza che lo Stato ci metta becco”.
Per fortuna il vino non è considerato un “settore strategico”. Così lo Stato non ci mette becco (anche se la burocrazia non molla l’osso) e così prospera.
Potremmo poi aggiungere che il vino, gli imprenditori di questo settore hanno realizzato la vera unità d’Italia. Perchè se un tempo trovavi prodotti di alta qualità solo in Veneto (Verona e Treviso) in Friuli, in Piemonte e in Toscana, oggi non c’è regione italiana – dalla Sicilia alla Puglia alle Marche al Trentino Alto Adige – che non li garantisca.
Il vino come altri settori dell’agroalimentare (penso all’olio) confermano inoltre l’assunto: dove non c’è l’aiuto pubblico trovi la qualità e il profitto; dove c’è proliferano invece, i sottoprodotti, il deficit e le truffe.
In chiusura un pensiero della Lady di Ferro che solo lei poteva permettersi di esprimere con tanta chiara brutalità: “Pensare a quanto lavorava mio padre, sempre senza sosta, mi riempiva di disprezzo non solo per gli operai che scioperavano inutilmente, ma anche per gli impiegati e i manager statali che si alzavano, spensierati, dalla scrivania alle cinque”.
Di certo gli imprenditori del Vinitaly non lavorano come gli impiegati e i manager statali. Senza aggiungere che quelli italiani mica sono inglesi e dunque dalla scrivania si alzano, spensierati, alle due del pomeriggio…

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