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FACCETTA NERA, FACCETTA BIANCA

Le faccette nere finiranno con farci “neri” noi, faccette bianche.
Se avevo un dubbio me l’ha tolto la faccetta nera con cui ho parlato questa mattina. Lo chiamo così perchè alla domanda sul suo Paese d’origine mi ha risposto “vengo dall’Abissinia”.
E’ un uomo che lavora per la ditta che raccoglie i rifiuti nel mio comune. Lo incrocio da anni, qualche volta abbiamo bevuto un café, ma non avevamo mai discusso con calma prima di oggi.
Lui comincia a dirmi che questo nostro Paese è un disastro; che non sappiamo nemmeno usare la democrazia, che siamo incapaci di darci un governo dato che abbiamo diviso i voti in tre parti uguali. Assurdo. Poi aggiunge che ha deciso di andarsene via dall’Italia.
Credevo pensasse a qualche altro Paese Europeo: la Svizzera, la Germania, l’Inghilterra. “No – mi precisa – io torno in Africa”.
Vedendomi stupito, mi spiega che la sua prima scelta è l’Angola, il Paese africano che nell’ultimo anno ha avuto la crescita più alta del pil, oltre il 14%, con materie prime importanti come il petrolio e dove c’è l’esplosione dei consumi e degli scambi commerciali (gli angolani sono colonizzatori di ritorno: oggi stanno comprandosi mezzo Portogallo!).
Aggiunge che non è niente male nemmeno la sua Etiopia: pil +13%; un presidente, morto l’altr’anno, che ha investito molto nell’istruzione. E – spiega – “quando la scuola funziona, i giovani non hanno più motivo per andarsene. Oggi abbiamo aziende ad alta tecnologia che producono anche le componenti per gli iPad”.
Parentesi: cosa significa investire nell’istruzione? Assume insegnanti a cazzo, perchè sono poveri precari, cioè scambiarla per un’agenzia per l’impiego? O selezionare nel modo più rigoroso un ceto di docenti, preparati e ben pagati, che avrà il compito di formare, non solo la classe dirigente, ma tutta la struttura lavorativa portante di un Paese che voglia avere un futuro: ingegneri, tecnici, medici, avvocati, operai specializzati, etc. etc. Noi abbiamo seguito la prima strada, l’Etiopia la seconda.
Chiusa parentesi e torniamo alla faccetta nera. Un uomo, partito dalla miseria, che ha già trovato un lavoro stabile qui da noi, ma che ambisce a migliorarsi e fa un ragionamento molto interessante: inutile puntare su Paesi maturi come Svizzera e Germania, dove magari trovi stipendi e servizi migliori di quelli italiani, ma sono comunque già assestati, c’è scarsa mobilità sociale; l’opportunità per un autentico salto di qualità lo offrono i Paesi emergenti, quelli che stanno conoscendo uno sviluppo esplosivo: Angola o Cina o Etiopia, appunto.
Due domande. La prima: quanti sono da noi i dipendenti, pubblici e non, che avendo già un lavoro stabile decidono di fare reset e ricominciare da capo, ragionando sui Paesi dove più sta crescendo il pil?
Quanti sono i nostri figli che, dopo essere emigrati in un Paese ed essersi inseriti, sono pronti ad emigrare nuovamente per rimettersi in gioco ripartendo da zero?
Rispondete alle due domande e avrete la dimostrazione matematica che le faccette nere non possono che farci “neri” noi, faccette bianche.
Ultima postilla: l’ho chiamato un uomo, avrà 30 anni, è un uomo. I nostri li chiamiamo ragazzi, anche a 40 anni, perchè restano ragazzi. Ragazzi a vita; ma troppo spesso impreparati ad affrontarla, la vita.

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