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CALCIO, PIU’ VIOLENZA CHE RAZZISMO

Molto originale davvero la giustificazione data dal sindaco di Roma Ignazio Marino dopo il masso lanciato contro il pullman dell’Hellas: opera di quattro scalmanati – ha detto – che non rappresentano la città. Già è sempre così, quando succede nelle grandi città è colpa di poche teste calde, una esigua minoranza di facinorosi.
Peccato che la regola non valga per Verona. Quando accade qui le quattro teste calde, i facinorosi diventano l’emblema e la prova della “Verona violenta e razzista”. Immediatamente viene criminalizzata l’intera città, senza alcun distinguo.
Ha ragione il sindaco Tosi quando dichiara che se fosse successo a Verona “sarebbe stata messa sotto accusa l’intera città”. Su Roma invece si sorvola anche quando la violenza ha una chiara connotazione razzista, come accaduto lo scorso anno con i tifosi del Tottenham aggrediti e accoltellati, dai laziali, in quanto ebrei ( Tottenham è la squadra del quartiere ebraico di Londra).
Altro che i “buuu” a Balotelli vanamente attesi sabato scorso al Bentegodi…
Ma è ora di prendere atto che il vero problema, endemico e cronico, del calcio italiano è la violenza fisica. Non quella verbale. Esiste anche la seconda, e più che ai “buuu” e ai fischi penso agli insulti razzisti. Però dovrebbe esserci un senso delle proporzioni.
Se la leghista Dolores Valandro – giustamente – è stata condannata ad un anno per l’invito a stuprare la Kyenge, quanti anni di galera dovrebbero scontare i tifosi romanisti che hanno scagliato il masso? Masso che, se colpiva l’autista del pullman dell’Hellas, poteva provocare una strage?
Violenza fisica sulla quale invece sorvoliamo per concentrarci su quella verbale. La violenza politica – dei no tav, dei no global – la trattiamo alla stregua di una forma di dissenso democratico. Quella calcistica la addebitiamo a quattro fanatici che “non rappresentano che loro stessi”. Mentre sono la rappresentazione perfetta di un Paese che, di fronte alla violenza come alla criminalità diffusa, non sa esercitare la deterrenza.
In Inghilterra la Thatcher ha stroncato gli hooligans (al loro confronto gli ultras di Roma e Lazio sono dilettanti del crimine…). Li ha stroncati in un battibaleno. Per lo stesso motivo non esiste un quel Paese la criminalità diffusa dei clandestini (e nemmeno degli inglesi). Anzi: non esistono i clandestini. Possono esserci, ci sono, i terroristi islamici. Ma questa è un’altra storia.
Noi invece la deterrenza la esercitiamo con le chiacchiere, i decreti legge, la burocrazia. Cioè non la esercitiamo.
Abbiamo burocratizzato al massimo gli ingressi agli stadi: tornelli, tessera del tifoso, biglietti da acquistare in banca. Risultato: entra lo stesso di tutto – dai fumogeni, alle spranghe, alle bombe carta – in compensano entrano sempre meno spettatori, demotivati ad andarci oltre che dalla violenza anche dalle inutili burocrazie.
Certo, abbiamo stadi vecchi e inospitali, rovinati da piste per l’atletica mai utilizzate. Ma anche qui non cediamo agli equivoci: fossero anche moderni, ospitali e attrezzati con tutto il contorno di bar, negozi e ristoranti, la gente normale, le famiglie, continuerebbero e non andarci finchè resta il pericolo concreto di finire preda della violenza degli ultras.

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