Si stava meglio finché c’era il muro? Non c’è dubbio. E ai tempi della mitica Età dell’Oro si stava meglio ancora. Peccato che il passato non ritorni mai…
Col Muro il mondo era bloccato e diviso in due non solo geograficamente, anche socialmente: da una parte i “signori” dell’Occidente dall’altra i “plebei” del comunismo. Come ben sanno decine di migliaia di italiani, non serviva essere signori per vivere da signori in vacanza nell’Europa dell’Est: i migliori alberghi e ristoranti di Praga o di Budapest a prezzi stracciati; ricchi doni low cost per conquistare le grazie delle belle donne, stile sultano di Arcore…
Il crollo del Muro segna l’inizio della globalizzazione, il libero mercato dove circolano merci, uomini capitali. La Banca mondiale rileva che all’epoca i poveri nel mondo erano 1,2 miliardi, mentre oggi sono 250 milioni. In parte è cresciuta la ricchezza globale, grazie all’espandersi dell’economia di mercato, ma in parte si è spalmata: noi (italiani ed europei) che allora stavamo meglio, oggi stiamo peggio. A crescere sono gli ex ultimi: cinesi, indiani, africani e sudamericani.
Stavamo meglio quando c’era il Muro. Ma è inutile illudersi di poterne costruire altri: né un muro contro la libera circolazione degli uomini (immigrazione) ma nemmeno a difesa per legge dei posti di lavoro (art.18 e simili) fatalmente esposti alla concorrenza globale.
Certo – ammesso di averne la forza e la capacità – si può e si deve cercare di imporre delle regole, affinché la libera circolazione non sia selvaggia cioè incontrollata.
Però lo snodo cruciale – per sopravvivere alla competizione globale – resta la competenza, le conoscenze, l’istruzione.
Oggi le popolazioni in grande crescita economica (cinesi e non solo) hanno una voglia di lavorare che appartiene alla nostra memoria storica. Ma soprattutto ci battono quanto a competenza: schiere di laureati giovanissimi in atenei molto qualificati, una pubblica istruzione incomparabile con la nostra.
Oggi tra le prime duecento università del mondo una sola è italiana: la Normale di Pisa che veleggia verso l’ottantesimo posto. Il reddito dei nostri figli nella classifica mondiale non potrà che avere una posizione analoga.
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