L’allarme lo ha lanciato il presidente dell’Inps Tito Boeri: i nati negli anni ’80 (chi ha oggi 35 anni) dovranno lavorare fino a 75 anni e poi andranno in pensione con un assegno decurtato del 25%.
Non una bella prospettiva. Ma sarebbe ancora peggiore se in pensione ci andassero a 60 anni: avrebbero infatti davanti 15 anni in più di stenti rispetto a chi lavora fino a 75 anni. Quindi, rovesciando un comune sentire e una comune battaglia sindacale, lavorare fino a tarda età è preferibile all’andare in pensione prima.
La pensione infatti è un dramma, sia economico che sociale. Economico perchè le esigenze e le spese non diminuiscono ma aumentano: e 4 pensionati su 10 hanno meno di 1000 euro al mese. Sociale, anzi socio-sanitario, perchè il lavoro ti mantiene vivo e vitale, rallenta le terribili malattie dell’invecchiamento. Detto brutalmente: chi continua a lavorare ha meno probabilità di rincretinirsi rispetto a chi va “ai giardinetti”.
La prospettiva non è triste solo per i pensionati italiani. Lo è anche per quelli tedeschi, di una Germania che ha un’economia ed un welfare più forti dei nostri. Una ricerca della società di assicurazione Axa ha infatti appurato che il 73% dei pensionati tedeschi ha problemi finanziari, è cioè costretto a rinunciare a spese necessarie e/o a ricorrere all’aiuto dei parenti.
La stessa ricerca spiega che le necessità economiche salgono con il progredire dell’età: del 39% per i pensionati fino a 69 anni, del 49% fino a 74 anni, dell’80% per gli ottantenni. Spese legate anzitutto alle crescenti esigenze di assistenza e interventi sanitari.
(Prendiamone atto: la famiglia è sempre più rara, il pensionato è sempre più solo)
Quindi il vero dramma, la vera condanna, non è andare in pensione tardi, ma andarci troppo presto. Meglio continuare a lavorare il più a lungo possibile. Anche perchè mantieni relazioni sociali, invece che ritrovarti solo a guardarti invecchiare nello specchio.
Tant’è che non ce n’è uno di libero professionista che vada in pensione. Magari finge d’andarci per incassare l’assegno, ma continua a lavorare. Tant’è che non c’è medico (capace e con clientela) che, una volta pensionato dal sistema sanitario pubblico, non continui a fornire prestazioni in cliniche e ambulatori privati. Tant’è che non c’è giornalista che, terminato il contratto di lavoro, non si metta a scrivere un libro (che magari nessuno mai leggerà).
Oltre che a guadagnare (o a provarci) serve a tenersi vivi.
E non vale solo per i lavori privilegiati. Meglio, molto meglio, potendo, anche starsene in fabbrica piuttosto che aspettare la morte seduto su una panchina ai giardinetti o al tavolo di un bar del tuo quartiere.
La vera conquista è dunque continuare a lavorare, non certo diventare pensionato. (Tranne per chi già pensionato lo era, anche quando faceva finta di lavorare…)
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