All’origine del trionfo della Raggi a Roma c’è un sorprendente mutamento culturale dei romani che, in modo plebiscitario, l’hanno scelta e votata.
Da sempre i cittadini della Capitale erano abituali a vivere nell’enorme sottobosco del clientelismo politico: posti pubblici a raffica, controlli di produttività zero, assenteismo a ruota libera, scioperi il lunedì sera dalle 20 alle 24 (Atac) quando c’è da guardare Italia Belgio.
Adesso la pacchia è finita. I romani hanno scelto l’onestà. E onestà significa anzitutto lavorare. Guadagnarsi lo stipendio, non intascarlo anche se ti sei slogato i pollici a furia di girarli. Non si può più rubare, come quei ladroni dei politici che rubano. Lo stipendio bisogna guadagnarselo.
Onestà significa che non puoi continuare a rubare agli altri cittadini italiani chiamati a ripianare, attraverso il fisco. l’enorme deficit della Capitale. Pensate che solo l’Atac accumula un passivo pari a quello di tutte le altre aziende di trasporto pubblico del nostro Paese!
I costi della politica a Roma non sono certo quelli degli 80 consiglieri comunali, di sindaco e assessori, ma dei 27 mila dipendenti del comune assunti per puro clientelismo politico.
Ma adesso con Virginia Raggi a Roma, per volontà dei suoi elettori, è arrivata l’onestà. Quindi la sindaca manderà a casa metà dei suoi inutili dipendenti, metterà in riga le municipalizzate, effettuerà serrati controlli di produttività. Nessuno più, anche se presente sul posto di lavoro, potrà passare il tempo giocando col computer.
Lo farà di certo anche per dare un esempio, a 5 Stelle, a tutto il resto che a Roma da lei non dipende: ministeri, uffici statali, commessi del parlamento, l’esercito dei burocrati.
E facendolo, con l’operare concreto, i 5 Stelle conquisteranno dal Campidoglio Palazzo Chigi; e l’onestà dilagherà sull’intero Paese.
Sarà così, deve essere così. Perchè, se così non fosse, vorrebbe dire che l’onestà a Roma non è arrivata, che tutto continua come sempre. Che la Raggi, e i romani che l’hanno votata, sono come quei democristiani (mica tutti) che gridavano “castità, castità!”, “fedeltà, fedeltà!” salvo poi comportarsi da puttanieri…
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