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IL DIALETTO, LA LINGUA DEGLI AFFETTI

Un amico ha dato una definizione che trovo perfetta: il dialetto è la lingua degli affetti. Quindi – dato che gli affetti o ci sono o non puoi insegnarli – non ha senso la pretesa della Regione Veneto di insegnare il dialetto nelle scuola, alle ultime generazioni che non lo parlano più.
D’altronde a scuola non ce lo hanno mai insegnato. Il dialetto lo imparavamo in quelle famiglie, non allargate, ma numerose che oggi non esistono più. Lo parlavano i nonni, i genitori, gli zii. E noi, fin da piccoli, iniziavamo ad usarlo con i fratelli, con i cugini, con tutti gli altri parenti e conoscenti.
La lingua degli affetti. La lingua del filò: i più vecchi ci raccontavano gli aneddoti, le esperienze, i proverbi e i modi dire, il mondo in cui erano nati e vissuti. Dopo di che si andava a scuola ad imparare l’italiano, la lingua della comunicazione con tutti gli altri che veneti non erano e con i quali non avevamo gli stessi legami affettivi.
Oggi ragazzi e ragazzini, spesso figli unici, che vivono in famiglie molto più ristrette, dove uno dei due genitori non è veneto se non addirittura straniero, da chi dovrebbero impararlo e con chi dovrebbero parlarlo il dialetto? Con facebook, con la rete? Comprensibilmente imparano ed usano il linguaggio povero e sincopato dei social network che sono i loro primi interlocutori.
Il dialetto lo parla ancora qualche giovane nei piccoli paesi, dove permane una certa struttura famigliare e sociale. Nelle città quasi più nessuno.
Oggi a scuola ha senso studiare l’inglese, il cinese: le lingue della comunicazione con il presente e con il futuro. Il dialetto serve, servirebbe, a comunicare con il passato: cioè con un Veneto, con un mondo, con una struttura famigliare che oggi – di fatto – sono in estinzione o già non esistono più.
Negli anni Sessanta, scegliendo di ridurre drasticamente l’insegnamento del latino, si diede una definizione che oggi vale per il veneto: il dialetto è una “lingua morta”.
L’evoluzione della società, il cambiamento di usi e costumi, determina l’evoluzione e il cambiamento della lingua. E – piaccia o non piaccia – comunque non puoi riesumare il passato tornando ad insegnare la lingua che si usava un tempo.

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