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SINDACO E CAMPI DI CONCENTRAMENTO

A margine della gestione, sempre più sconsiderata, dei migranti emerge anche una terminologia altrettanto sconsiderata. Capintesta il sindaco di Bagnoli, Roberto Milan, che parlando del grande centro di accoglienza, ospitato nel suo comune nell’ex base militare di San Siro, lo definisce “campo di concentramento”. E continua a ripetere Milan che “i campi di concentramento vanno chiusi”.
Da un lato cerca di dare un colpo al cerchio ed uno alla botte: non potendo negare il forte disagio sociale, la paura, prodotto dai migranti ai cittadini del suo comune, tenta di aggiungere che anche i migranti stessi sono vessati e maltrattati all’interno dei “campi di concentramento”.
Ma usare questo termine è un’infamia, un oltraggio alla memoria di chi i veri campi di concentramento li ha subiti e conosciuti sulla propria pelle.
Spesso i campi di concentramento vengono identificati con i campi di sterminio, con i lager o i gulag dove furono massacrati milioni di persone. E non risulta che negli hub ci siano né camere a gas né forni crematori né i lavori forzati coatti.
Tuttavia, anche nell’accezione più rigorosa, i campi di concentramento – ad esempio quelli inglesi dove furono detenuti i nostri soldati fatti prigionieri durante la seconda guerra mondiale – erano tutt’altra cosa dagli hub: campi di prigionia dove non eri né servito né riverito, dove non ti lavavano la biancheria né ti garantivano pasti sostanziosi. Dove – soprattutto – non potevi uscire a piacimento per tentare di violentare una donna del circondario o dedicarti alla prostituzione gay. Dove – soprattutto – non potevi nemmeno sognarti di sequestrare per una notte intera gli addetti alla gestione, come hanno fatto tranquillamente ed impunemente i migranti ospitati nel vicino hub di Conetta.
Una piccola differenza che evidentemente sfugge al sindaco Roberto Milan.
Così come a tanti nostri insegnanti – a conferma della loro crassa ignoranza – sfugge la differenza tra chi deve trasferirsi per avere la garanzia del posto pubblico a vita e a prescindere (dal lavoro svolto) e chi venne deportato, all’interno di vagoni blindati dove eri stipato e costretto con le armi ad entrare, destinato a morte certa nei campi di sterminio.

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