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BENVENUTI IN BOSNIA!

 

 

Benvenuti in Bosnia! Possiamo scriverlo e appendere il cartello ai confini del nostro Paese. Lo ha puntualizzato il magistrato milanese Giuseppe Grechi: “Siamo al primo posto in Europa per numero di reati gravi. Pari alla Bosnia per omicidi e reati di massima gravità”. L’accostamento proposto da Grechi può avere una sua strumentalità contingente, legate alle polemiche col governo sulla intercettazioni e sulle risorse da destinare o meno alla magistratura, ma nessuno può contestarlo nella sostanze e nei numeri: 714 omicidi volontari, 1.425 tentati omicidi, 46.265 rapine.

Non sono i reati pur gravi e che, comprensibilmente, destano molto allarme sociale. Non sono gli stupri e le violenze compiuti dai branchi stranieri e anche italiani. Stiamo parlando dei reati tipici della criminalità organizzata, sono la mafia e la camorra che ci rendono drammaticamente simili alla Bosnia e del tutto estranei all’Europa civile. Anche noi come i bosniaci abbiamo l’elenco dei “most wanted”, la lista continuamente aggiornata dei trenta latitanti più pericolosi (che tali restano per decenni). La Bosnia non è mai uscita dalla guerra civile, resta spaccata in due. E anche noi non ne usciamo dalla guerra tra lo Stato e la criminalità organizzata, che controlla un terzo del nostro Paese; che amministra la giustizia, i posti di lavoro, gli interventi pubblici in almeno quattro regioni d’Italia.

L’opinione pubblica internazionale non è più informata su ciò che succede in Bosnia. Allo stesso modo l’opinione pubblica italiana non è informata su ciò che continua ad accadere nel nostro Mezzogiorno. Sono informati molto meglio i cittadini degli altri Paesi europei, che infatti ci trattano con le molle. Noi subiamo la tipica disinformazione del tempo di guerra: si esalta la vittoria in una scaramuccia (catturato un latitante!), si sorvola sul susseguirsi di sconfitte devastanti, cioè sui fatturati delle mafie che crescono in maniera esponenziale e rendendo sempre più ricco e prospero l’antistato del Sud.

Un anno fa a Palermo fu arrestato il latitante Salvatore Lo Piccolo, fu annunciata la cattura del successore di Riina. Ma intanto sempre a Palermo i danneggiamenti con incendio doloso, che gli stessi investigatori definiscono “classici reati spia”, solo saliti da qualche centinaio a 2.644. Il che significa che il racket è sempre più potente, che domina sempre più incontrastato dalle varie superprocure, dalle divisioni antimafia, dalle articolazioni di uno Stato che non riesce a riportare la legge, a riconquistare il Mezzogiorno.

Dopo di che qui in Veneto, nel nostro quotidiano, siamo più preoccupati che il branco straniero stupri le donne o che il branco nostrano pesti a sangue il diverso. Ma questo accade anche in Francia, in Germania, in Olanda. E’ il resto che succede solo da noi, solo al Sud e in Bosnia.

 

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