Ho appena espresso tutto il mio scetticismo sulle ronde: una risposta molto più di strumentalità politica che di soluzione al problema della sicurezza. Dopo di che non posso nemmeno accettare il classico mondo alla rovescia che molti stanno delineando in queste ore scambiando, al solito, l’effetto con la causa. Tipico esempio Gad Lerner che oggi su Repubblica le definisce “piccoli passi verso l’inciviltà”. Non si può avvitare la logica su se stessa in questo modo. Le ronde saranno una risposta inadeguata, strumentale, anche sbagliata. Ma i piccoli, anzi, i grandi passi verso l’inciviltà li abbiamo compiuti aprendo le frontiere a tutti: non solo alle persone venute per lavorare, e che potevano trovare un posto di lavoro, ma anche a tutti gli altri delinquenti compresi.
Va chiarito una volta per tutte qual’è il parametro. Se è il loro bisogno, creaiamo un ponte aereo umanitario con le bandierine della Caritas e facciamone arrivare centinaia di milioni; guardiamo quanti concreamente ne sfama il Vaticano, e poi entriamo tutti nella giungla a sbranarci per un tozzo di pane. Se invece il parametro è mantenere uno standard di civiltà e di benessere, cui far partecipare anche gli immigrati, non possono che entrare quelli che il mercato del lavoro è in grado di assorbire. Non si può scambiare spudoratamente la causa per l’effetto: a grandi passi verso l’inciviltà ci siamo avviati non sapendo governare l’immigrazione, lasciando entrare centinaia di migliaia di sbandati che hanno stravolto il tessuto sociale delle città compromesso la sicurezza. Non certo ora con la legalizzazione delle ronde. L’inciviltà l’hanno portata tanti immigrati con i loro comportamenti quotidiani che, come effetto, hanno innescato anche reazioni sbagliate dei cittadini.
Stesso mondo alla rovescia ci viene proposto riguardo ai centri per clandestini. Le nostre anime belle si scandalizzano e dicono che non possibile, è incivile e contro la Costituzione, tenere degli esseri umani amassati, ora addirittura per sei mesi, in queste strutture. Ma, scusate, siamo noi che vogliamo tenerceli o sono loro che ci costringono? Diano quelle generalità autentiche, che si rifiutano di dare, e i tempi di soluzione diventeranno rapidissimi. La smettano i loro Paesi d’origine di fare i furbi, e il rimpatrio avverrà in pochi giorni evitando loro la sofferenza di una più lunga permanenza nei centri. O dobbiamo farci ricattare dai Paesi d’origine? O, per essere civili e ligi ai diritti costituzionali, dobbiamo lasciarli liberi di sciamare da calndestini a rendere ancora più pesante e insicura la vita nelle nostre città?
Ultimo esempio di mondo alla rovescia, i rom dei campi attorno a Roma che dichiarano: “Ci trattano come ad Auschwitz”. E l’altro giorno Repubblica mette in prima pagina questa loro affermazione senza accompagnarla con il più ovvio dei commenti. Cioè che i nazisti andavano a prenderli, li deportavano nei lager e qui li sterminavano. Oggi invece i rom arrivano nel nostro Paese per loro libera scelta, vivono come vogliono loro spesso nemmeno cercando un lavoro e spesso dedicandosi ad attività criminali. Saremmo ben felici che, liberamente, se ne andassero altrove. Invece scelgono di rimanere qui, creano mille problemi, devastano ulteriormente la convivenza nelle nostre città e, se appena fai controllare i campi rom dalle forze dell’ordine, si mettono a sbraitare che li hai rinchiusi ad Auschwitz. E Repubblica lo scrive. E qualche magistrato di Bologna ovviamente ci crede…
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